La versione teatrale diretta e interpretata da Massimiliano Finazzer Flory farà tappa nella chiesa milanese di San Marco il 17 maggio, con ingresso gratuito, prima di continuare il suo tour mondiale. Un omaggio a Manzoni, ma anche a Verdi nel bicentenario della nascita.

Massimiliano Finazzer Flory Gilda Gelati

I promessi sposi di Alessandro Manzoni, nella versione teatrale diretta e interpretata da Massimiliano Finazzer Flory, completano il giro del mondo iniziato nel 2011 negli Stati Uniti con uno straordinario tour in Estremo Oriente. Lo spettacolo sarà infatti in scena a Singapore il 12 e 13 maggio, poi a Seul in Corea del Sud, il 22 maggio, per continuare in Cina dove debutterà il 19 giugno a Pechino; a seguire Shanghai, Shenzhen, Chengdu, Hong Kong. Terminerà la tournée in luglio in Giappone con ben altre 5 rappresentazioni a Tokyo, Kyoto, Osaka, Sapporo e Fukuoka.

Tuttavia non poteva mancare un grande evento italiano: il 17 maggio a Milano alla Chiesa di San Marco. Per ricordare il legame tra Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi in occasione del bicentenario della nascita del compositore e poiché nella stessa chiesa Verdi diresse la Messa da Requiem in onore della memoria di Manzoni a un anno dalla scomparsa, sarà allestito lo spettacolo con musiche verdiane. La rappresentazione di Finazzer Flory avverrà presso l’altare della Chiesa e la scenografia sarà composta da oggetti della vita di Manzoni.

«La mia messa in scena – dichiara Massimiliano Finazzer Flory – colloca il testo nel 1628 e mette l’accento sui dubbi e le domande dei personaggi, curvando i caratteri dei protagonisti some se potessimo origliare la loro coscienza, le loro inquietudini. Non a caso infatti le luci dello spettacolo sono una citazione a Caravaggio, valorizzando i chiari e scuri della vicenda. Del resto ho voluto rileggere I Promessi Sposi con gli occhi di Shakespeare. È importante ricordare che Alessandro Manzoni era un buon lettore del Macbeth».

«Da qui mi sono ispirato sia per la regia che per l’interpretazione – spiega ancora Finazzer Flory -. Passando dalla storia ai simboli dobbiamo dire sull’attualità de I Promessi Sposi, anzi sulla loro necessità, perché i capitoli messi in scena parlano di noi, del nostro tempo. L’addio ai Monti è un addio a certezze che ritenevamo fondamentali perché incapaci di vedere altro. Allo stesso modo la rivolta del pane è oggi la rivolta della conoscenza, del bisogno di essa soprattutto da parte della gente più umile. Anzi è proprio l’umiltà la grande forza drammaturgica che orienta il testo e lo spettacolo. Per farci capire che la morte di Cecilia è la morte di tutti i bambini. Dei nostri. La pietà, così, diventa allora il terreno su cui la fede e la ragione possono e debbono trovare un accordo».

«Il testo messo in scena diventa allora una partitura dove la mia voce ha lavorato e seguito le virgole manzoniane come note, sulla base di un ritmo che mette in gioco la pausa e l’azione, il tempo e lo spazio dell’opera e dei personaggi. In realtà il mio regista è la lingua, colei che è magnifica. A questa lingua, che è italiana, un capolavoro, un dono imprevedibile, offro tutto me stesso e questo credo sia il compito dell’attore».

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