In una tersa giornata d’autunno, alle 11.30 del mattino, gli aerei americani diretti sui complessi industriali a nord di Milano, per errore riversarono una pioggia di bombe sui quartieri di Gorla e Precotto. Fu una strage. La scuola elementare "Crispi", in particolare, fu colpita in pieno: 200 bambini rimasero uccisi con le loro maestre. Lo stesso cardinal Schuster, che accorse subito sul luogo del disastro, ne fu sgomento.
di Luca
Frigerio
«È stata la più triste giornata di questi cinque anni di guerra, anche per il numero e la quantità di morti, tra i quali due sacerdoti e una intera scolaresca nel rione di Gorla. Si discorre di circa 200 fanciulli colle loro maestre!». È un cardinal Schuster affranto e profondamente turbato, quello che nella sera del 20 ottobre 1944 scrive questa nota al rientro dalla visita straziante alla periferia settentrionale di Milano, fra distruzioni e macerie, vittime e feriti. E negli occhi, ancora, la vista insopportabile di quei corpicini martoriati, tanti, troppi, cullati fra le braccia delle madri disperate o pietosamente adagiati l’uno accanto all’altro, come per un appello al quale non potevano più rispondere. Un’altra strage di nuovi innocenti.
L’episodio è tristemente noto, e lo abbiamo già rievocato in diverse occasioni anche su queste pagine. In quella tersa giornata d’autunno del 1944, in pieno giorno, alle ore 11.15, un centinaio di aerei americani apparvero nel cielo di Milano con l’obiettivo di bombardare i complessi industriali a nord della città, dalla Isotta Fraschini all’Alfa Romeo, alla Breda di Sesto San Giovanni. Ma per una sventurata serie di circostanze, quella missione si rivelò un completo fallimento e causò uno dei più gravi disastri per la popolazione civile italiana durante la seconda guerra mondiale, con le bombe sganciate per errore sui popolosi quartieri di Gorla e di Precotto. La scuola elementare «Francesco Crispi», in particolare, fu colpita in pieno da un ordigno di mille libbre: la terribile esplosione e il crollo dell’edificio che ne seguì investirono gli scolari che, con i loro insegnanti, cercavano di raggiungere il rifugio sotterraneo.
Dentro quella scuola avrebbe dovuto trovarsi anche don Ferdinando Frattino, coadiutore nella parrocchia di Gorla e docente di religione. Ma un’urgenza pastorale lo aveva chiamato altrove. Fu comunque investito dagli scoppi e, appena terminato il bombardamento, resosi conto di quello che era successo, si precipitò alla «Crispi». Il sacerdote stesso, a cinquant’anni dai quei fatti, rievocò la tragedia sulla rivista Terra ambrosiana: «Mi trovai di fronte a un mucchio di macerie. Le scale erano crollate assieme ai bambini che stavano scendendo; gli alunni che erano arrivati primi in fondo alle rampe li trovammo seduti come se dormissero, quelli sulle scale rovinati e schiacciati».
«Lavoravamo tutti per rimuovere macerie ed estrarre cadaveri, sperando di trovare qualche superstite; ma affioravano quasi solo vittime», raccontava ancora il sacerdote, classe 1916. «Otto ragazzi sono rimasti vivi perché difesi da un plafone retinato crollato, ma non distrutto; uno di essi si chiamava Walter Filippi, che poi è diventato sacerdote salesiano. Ho saputo che molti ragazzi hanno pregato finché la loro bocca non si è riempita di terra. Le mamme prendevano in braccio i loro bambini come se fossero vivi e scappavano via: scene di comprensibile strazio e di grande pietà».
Sono scene a cui assistette, dolente e impotente, anche il cardinal Schuster, accorso sul luogo della strage verso l’una, quindi subito dopo essere stato avvertito del disastro. L’arcivescovo di Milano trascorse tutto il pomeriggio a benedire le salme, visitare i feriti, consolare i famigliari delle vittime, passando da un luogo all’altro, fra quelli più colpiti dal bombardamento aereo. Situazioni del genere il beato Ildefonso le aveva già viste, per averle vissute soprattutto nell’agosto del 1943, in seguito alle incursioni degli Alleati sulla città che avevano causato morti e devastazioni. Ma la tragedia di Gorla era qualcosa di assolutamente inaudito.
Danni ingenti aveva subito anche il monastero delle carmelitane, dove Schuster si era recato per portare un’offerta per i bisogni più urgenti e per visitare la camera ardente di don Giuseppe Balmelli, assistente diocesano della gioventù femminile, anche lui colpito e ucciso nell’attacco. «Sul suo volto pallido, emaciato, si legge tutta la profondità e l’intensità del suo strazio – annotano le religiose nel chronicon, riguardo all’arcivescovo -; è triste oppresso, piange, vuol vedere, informarsi; parla con le madri, coi padri, ci dice parole di conforto e, con le lacrime agli occhi ci ripete: “Pregate, figliuole, pregate che il Signore si plachi e ci usi misericordia”».
Nelle ore successive, nell’annunciare la messa in suffragio per tutte le vittime di quel terribile bombardamento, il cardinal Schuster proclamò di voler supplicare «lo stuolo dei nostri innocenti a consolare i loro dolenti genitori e ad impetrarci da Dio che il loro sacrificio sia l’ultimo per Milano, che in un sol tratto invia al cielo uno stuolo di tanti angioletti». E, per la potenza della preghiera, associata forse all’efficacia di qualche canale diplomatico messo in atto dal beato arcivescovo presso gli Alleati, quello che causò l’eccidio di Gorla fu davvero l’ultimo bombardamento su Milano sino alla fine della guerra.