Solennità dell’Epifania del Signore, Milano, Duomo – 6 gennaio 2023

È troppo grande il mistero della salvezza che Dio opera nella storia di Gesù: non basta una sola parola o una sola narrazione. Per questo le letture di questa celebrazione sono tre e descrivono in tre modi diversi l’accoglienza della salvezza di Dio, la sua manifestazione al mondo.

 

  1. L’attrattiva entusiasmante.

Il profeta consola il popolo di Dio con la visione gloriosa di una grande speranza che si compie: ecco, finalmente la diaspora si risolve in un ritorno festoso del popolo disperso. Ecco finalmente l’umiliazione è riparata dall’esaltante spettacolo del trionfo della ricostruzione. Molto di più di un ritorno all’antico: inizia un’epoca di rinascita, di esultanza, di splendore. Le tenebre sono vinte, ecco la luce.

La miseria è ricompensata dalla sovrabbondanza. Invece del peso della schiavitù, la leggerezza di essere liberi, circondati dalle attenzioni che sono riservate alle persone di stirpe regale.

Le immagini del profeta raccontano anche della nostra storia: anche noi conosciamo l’esultanza, conosciamo e desideriamo gli incontri festosi, i momenti del convenire che esaltano le emozioni nel cantico, nella danza.

La festa non è solo una espressione infantile, ma forse i bambini possono insegnarci a far festa, anche a noi, gravati d’anni e di pensieri. Anche noi possiamo lasciarci contagiare dalla trepida attesa con cui i bambini vivono l’avvicinarsi degli eventi desiderati e sognati.

L’espressione che dice: “a Natale si diventa tutti un po’ bambini” non è per dire che ci si perde in un mondo favoloso, ma piuttosto che la grazia di Dio che ci visita ci aiuta a deporre l’atteggiamento serioso, il volto sempre severo, l’incapacità di fare festa, di manifestare con scioltezza la letizia.

Dobbiamo riconoscere che tra gli atteggiamenti diffusi nelle nostre comunità sembrano prevalere il malumore e il lamento invece della gioia.

La manifestazione della gloria di Dio nell’umanità di Gesù può suscitare in noi quell’attrattiva entusiasmante che rende possibile fare festa e vivere anche le celebrazioni liturgiche come momenti di grazia e tornare a casa contenti e desiderosi di irradiare la gioia. Tutte le espressioni liturgiche del periodo natalizio sono invito a entrare nel mistero della gioia, i misteri gaudiosi.

 

  1. Il realismo della responsabilità per il mondo.

La presenza del Figlio di Dio tra i figli degli uomini è principio dell’umanità riconciliata.

Uomini e donne chiamati ad abitare con serietà il quotidiano, a farsi carico di tutti gli aspetti della vita umana, con senso di responsabilità.

Ogni situazione di vita ha le sue complicazioni e le sue fatiche: non è però una buona ragione per sognare di abitare un’altra storia e un altro mondo. È qui, con questa gente, con questa storia, con queste situazioni che siamo chiamati a edificare un umanesimo cristiano: vivere in una pace operosa e costruttiva.

Vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.

Il realismo della responsabilità induce a vivere anche il rapporto con il potere costituito e con la realtà politica in modo costruttivo

Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini.

I discepoli sono cittadini leali, hanno un rapporto costruttivo con le istituzioni, se ne fanno carico per il bene comune, perché la vita di tutti possa procedere in pace.

 

  1. L’inquietudine.

I sapienti che si sono messi in cammino e hanno seguito il segno della stella inquietano Erode e tutta la città. Il potere che si impone e diventa tirannide, il pensiero che si è spento e diventa ideologia, l’attesa che si è stancata e diventa sistemazione senza speranza sono scossi dall’irrompere della gloria di Dio: All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.

La rivelazione del mistero di Dio è sempre anche una inquietudine, una contestazione della sistemazione inerte, dell’occupazione del potere con l’arroganza del prepotente.

L’inquietudine motiva a mettersi in cammino, ad appassionarsi alla ricerca, a essere disponibili per l’inesauribile sovrabbondanza della rivelazione antica.

Coloro che sono visitati dal segno sono avvolti dalla gloria e ricolmati di gioia. Sono lieti, ma non soddisfatti. Sono contenti di sé e insieme sempre umilmente docili alla parola che chiama a conversione. Abitano la terra e riconoscono d’avere molto ricevuto, ma insieme attendono un compimento per il quale la terra non può bastare. Amano i fratelli e le sorelle con cui vivono e stabiliscono relazioni personali pieni di dedizione e si aspettano molto gli uni dagli altri, ma insieme avvertono un bisogno d’amore e di verità per il quale nessun essere mortale può essere adeguato.

Siamo chiamati a vivere tutti e tre gli atteggiamenti suggeriti dalle letture, l’attrattiva entusiasmante, il realismo della responsabilità, l’inquietudine della ricerca. Ciascuno certo sente più congeniale uno di queste esperienze spirituali, ma escludere gli altri impoverisce l’esperienza cristiana, rischia di ridurla a esperienza parziale, impermeabile alla sovrabbondanza dello Spirito.

Viviamo perciò l’Epifania come dono e vocazione a sperimentare l’attrattiva che riempie di gioia, il realismo che impegna nel quotidiano, l’inquietudine che spinge sempre oltre, sempre in cammino, sempre in ricerca del Figlio di Dio che è nato.

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