Un improvviso fuggi-fuggi di giovani in fuga da Mosca è tra gli effetti del discorso pronunciato da Putin, con la chiamata alla «mobilitazione militare parziale». A raccontare cosa sta succedendo è padre Giovanni Guaita, parroco della Chiesa ortodossa russa

di Maria Chiara BIAGIONI
Agensir

aereo

Fino a oggi non si potevano usare le parole “guerra” e “pace”, e chi le usava, anche solo mimandole con cartelli bianchi per strada, veniva arrestato; ma l’opinione pubblica ha sopportato. «La vita in Russia sostanzialmente è continuata come prima. Le sanzioni hanno avuto fin qui pochissimo impatto nella vita quotidiana delle persone. Ma adesso, sopportare l’invio di un figlio o di un marito al fronte è diverso. Siamo in un momento critico». A raccontare cosa sta succedendo in queste ore in Russia, è padre Giovanni Guaita, sacerdote e monaco della Chiesa ortodossa russa, italiano di origine, che celebra nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano in pieno centro di Mosca. Si trova in realtà da due giorni in Italia per visitare i genitori anziani, ma dopo gli ultimi avvenimenti è impaziente di tornare a Mosca. Per essere con la sua gente che in questi giorni gli telefona e scrive per consigliarsi sulla tragica decisione: fuggire o restare?

Padre Guaita è riuscito a passare il confine via terra e probabilmente farà lo stesso per tornare a casa, visto che lo spazio aereo da mesi è chiuso, non esistono voli diretti tra la Russia e i paesi dell’Unione Europea e gli unici possibili sono via Istanbul, Yerevan e Kazakhstan, ma «i prezzi dei biglietti sono folli». Secondo la ong Ovd-info, il 21 settembre si sono svolte nuovamente azioni di massa contro il governo e l’annuncio dato dal presidente Putin di una «mobilitazione parziale militare». «Sono scesi per strada in pochi – commenta subito padre Guaita -. Ma anche se poche, queste persone hanno dimostrato un grandissimo coraggio. In una situazione generale di omertà e paura anche una piccola percentuale di non-allineati ha grandissimo valore». Chi partecipa a proteste pubbliche in Russia rischia fino a 15 anni di galera, «ma l’alternativa è quella di finire al fronte».

La mobilitazione

Il governo ha decretato questa mobilitazione parziale senza spiegare di cosa si tratti. E quindi sul «parziale» e sui criteri di chiamata si possono fare solo ipotesi. È stato detto che servono circa 300 mila soldati. Sembra che in un primo tempo prenderanno quelli che hanno già fatto il militare e hanno una qualche esperienza di uso delle armi. Poi prenderanno i giovani che non hanno fatto ancora il servizio di leva e faranno un corso di addestramento, e alla fine prenderanno probabilmente tutti. È semplicemente un processo di reclutamento progressivo. È la polizia che consegna la chiamata alle armi. Ci sono stati però, addirittura a Mosca, dei casi in cui la polizia ha fermato per strada dei ragazzi, hanno chiesto i documenti, hanno compilato subito la cartolina e l’hanno consegnata. Questa è la ragione del fuggi-fuggi di giovani, in fila sui voli per Yerevan e Istanbul, perché come via di fuga non resta nient’altro.

Sta emergendo la nuova rotta verso il Kazakhstan, ma i prezzi sono proibitivi, praticamente impossibili. Tra l’altro si sa che senza un permesso speciale del comando militare, nessun maschio in età di leva può passare la frontiera, per cui sono tentativi dovuti alla disperazione.

Arrivata la cartolina, il ragazzo deve presentarsi al comando militare del luogo. L’obiezione di coscienza non esiste in caso di guerra. La cosa paradossale è che c’è una chiamata alle armi per una guerra che è negata dal governo. Anche sulle ragioni di lanciare oggi una mobilitazione parziale, non è stato detto nulla di chiaro. Evidentemente non bastano più le forze che già sono state mandate. Sembra che ci siano state numerose vittime. Il governo però ha ufficialmente dichiarato che le vittime sono meno di 6 mila. Allo stesso tempo sta cercando di mandare altri 300 mila ragazzi al fronte, da aggiungersi ai 200 mila già inviati. Insomma, la necessità di tutti questi soldati è abbastanza strana.

Le manifestazioni

Le manifestazioni e le file all’aeroporto mandano all’Europa un segnalo chiaro: più dura questa situazione, più il consenso popolare è destinato a scendere. Ci sono anche altri episodi. Come il documentario pubblicato su YouTube, girato mentre il governo reclutava nelle carceri criminali da inviare in Ucraina. Poi c’è stato anche lo schiaffo morale di Alla Pugacheva, una tra le più famose cantanti pop russe fin dagli anni Sessanta, “icona” proprio di quella cultura sovietica che Putin vorrebbe ricostruire: Alla ha chiesto alle autorità del Paese di essere considerata “agente straniero” come gesto di solidarietà nei confronti del marito, fortemente critico della guerra in Ucraina.

Colpi di coda

È evidente che tutto questo è il segno di una lenta fine. La decisione di avviare un’azione militare è stata presa non solo dal presidente Putin, ma da tutto il Consiglio di sicurezza. Quindi tutti sono co-responsabili. Cosa farà tutta questa gente dopo la fine del regime? Cosa faranno le migliaia di forze speciali e di polizia anti-sommossa e anti-terrorismo, addestrate alla brutalità? «Lo stemma della città di Mosca ritrae San Giorgio che sconfigge il drago. Il drago che muore è pericoloso – mette in guardia padre Guaita -. Gli ultimi colpi di coda sono quelli più micidiali. Colpiscono a destra e a sinistra, senza alcuna logica. Sono irrazionali e quindi pericolosi per tutti, anche per il resto del mondo».

Difficile dunque fare previsioni. Il mondo assiste all’agonia di un grande regime totalitario, ma è difficile dire quanto questa agonia possa durare. «Nel frattempo può succedere di tutto. Chi crede sa che San Giorgio ha comunque sconfitto il drago».

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