La famiglia Uslenghi, di Abbiategrasso, racconta la sua esperienza di solidarietà nella Carovana della Pace, vissuta tra esplosioni e allarmi
di Maria Chiara
Biagioni
Agensir
Luigi e Cristina con le loro figlie Beatrice e Rebecca. C’è una famiglia tra i volontari della rete Stopthewarnow in viaggio verso Mykolaiv. Anche loro, a bordo dei pullmini, per portare alla popolazione colpita dalla guerra, a pochi chilometri dal fronte, non solo aiuti umanitari, ma la presenza di una forza di pace. Sono la famiglia Uslenghi di Abbiategrasso. Fanno parte della San Vincenzo de’ Paoli.
Rebecca, classe 2003, è la più giovane partecipante alla carovana della pace. «Abbiamo visto questa guerra in tv. Lo schermo ci ha inondato in questi mesi di immagini. Il rischio è di rimanere indifferenti. Questa iniziativa mi ha dato la possibilità di vedere quello che sta succedendo e di poter condividere con la gente la loro sofferenza».
Terza missione
In realtà la famiglia Uslenghi è alla sua terza missione. Aveva già partecipato ad aprile alla prima Carovana della Pace raggiungendo con altre 221 persone a bordo di 67 pullmini carichi di 32 tonnellate di aiuti umanitari la città di Leopoli. Erano passati poco più di due mesi dall’invasione su vasta scala dell’armata russa in Ucraina e Leopoli era diventata la città con il più grande numero di profughi d’Europa. Quella Carovana riuscì a portare in Italia 300 persone, principalmente donne con bambini e anziani e oltre 50 persone con disabilità gravi. Arrivavano dalle città più colpite dagli attacchi russi. La famiglia Uslenghi si portò a casa 14 ucraini, mamme con i bambini, 4 disabili e una nonna di 83 anni. Avevano raggiunto Leopoli da Kharkiv, Bucha, Dnipro. «Avevano alle spalle un viaggio lunghissimo – ricorda Cristina -. Avevano solo un trolley. Erano stanchissimi, disorientati».
All’inizio facevano fatica ad aprirsi, ma quel viaggio è stato l’inizio di una esperienza di amicizia anzi di affetto infinito e “famiglia allargata” che continua ancora oggi. L’iniziativa viene subito comunicata e condivisa insieme ad altre famiglie che per i nuovi arrivati ucraini si organizzano incontri, grigliate, una vacanza in montagna, anche una visita a Milano e Venezia. Passato il primo mese per l’orientamento, i bambini a maggio vengono inseriti nelle scuole. Alcuni di loro oggi parlano e capiscono l’italiano.
Un dovere morale
Ma non finisce qui. La solidarietà con il popolo ucraino non si ferma e la famiglia Uslenghi a giugno riparte per Leopoli con tre pullmini che riescono a riempire grazie alla San Vincenzo e al Lions distretto 108/ib4. Questa volta gli aiuti vengono scaricati alla Caritas di Leopoli e al Centro don Orione.
Rebecca non ha partecipato alle due missioni perché era impegnata a prepararsi per la maturità. Beatrice, 21 anni, è invece alla sua terza missione. «Credo che sia un dovere morale fare qualcosa per questo popolo – dice -. Questa guerra ci riguarda tutti. Riguarda l’Europa. Riguarda il mondo. E questo chiede azione. Ci chiede di agire per la pace, per la vita». «Facevo già azioni di volontariato a casa – racconta Rebecca -. Durante il lockdown ho aiutato a portare pasti caldi alle persone più svantaggiate. Questa carovana mi ha dato però la possibilità di allargare gli orizzonti e vivere una esperienza di aiuto internazionale più grande». «Credo – aggiunge la madre – che sia importante dare soprattutto ai giovani la possibilità di poter vedere con i propri occhi quanto sta succedendo. Ma questo chiede lo sforzo di uscire dalla propria routine e comfort-zone».
Esplosioni e sirene
La missione a Odessa e Mykolaiv ha portato la famiglia Uslenghi in zona di guerra. Si combatte sulla linea del fronte a Kherson. Mentre i volontari della carovana sono impegnati a scaricare gli aiuti, si sentono le esplosioni. Di notte, Odessa è stata attaccata con due missili lanciati dalla Crimea. Un missile è stato distrutto dalle forze di difesa antiaeree, il secondo ha colpito un’area aperta. Per fortuna non ci sono stati danni o feriti, ma le sirene hanno suonato fortissimo. «Ho sentito gelare il sangue – racconta Beatrice – e l’idea che questa gente vive così, in questa sospensione continua, da più di sei mesi, mi sembra davvero un assurdo. Quando sei sotto attacco, capisci cosa significa trovarsi in una situazione che non puoi controllare. Capisci che puoi compiere passi di pace, ma non puoi far nulla per fermare un missile e far finire la guerra. Se dovessi definire cosa è la paura, direi che è questo senso di impotenza».
Apprezzare ciò che si ha
Tornata a casa la vita della famiglia Uslenghi andrà avanti. Beatrice studia all’università lingue e letterature straniere, mentre Rebecca si è appena iscritta a scienze forense. Luigi e Cristina riprenderanno le loro attività e la cura delle persone che si sono prese in carico. Settembre poi sarà un mese importante per due dei 4 ragazzi disabili ospiti degli Uslenghi. Grazie alla San Vincenzo nazionale cominceranno una serie di visite al centro Inail di Gudrio a Bologna per mettere a punto nuove protesi. È Cristina a raccontarci cosa questa esperienza sul fronte ha lasciato dentro. «Spesso ci lamentiamo per quello che non abbiamo. La routine ci porta a vivere di corsa. Abbiamo incontrato a Mykolaiv persone che non hanno accesso ad acqua potabile e pulita. Che fa fatica a lavare e a farsi la doccia. Che vive da mesi nei rifugi. Le nostre comodità le diamo per scontate e facciamo spesso fatica ad apprezzare quello che abbiamo».
La Carovana della Pace è questo: porti pulmini carichi di aiuti umanitari, ma li riporti indietro pieni di vita.