I rappresentanti del Mean hanno attraversato a piedi il centro della capitale e hanno incontrato il Sindaco e il Nunzio apostolico. Poi il confronto con la società civile
di Vito
D'Ettorre
Inviato TV2000 da Agensir
È stato un momento storico, da ricordare. Il primo gruppo di pacifisti giunti nei giorni scorsi a Kiev per chiedere lo stop alle armi e per esprimere di persona solidarietà agli ucraini. Un momento storico vissuto non senza apprensione, con i pacifisti che hanno attraversato a piedi il centro della capitale. Intorno a loro una città dove dilaniata dalla tensione e dalla guerra. Nel palazzo del Comune hanno poi incontrato il Sindaco di Kiev e il Nunzio apostolico. Non si sono sottratti anche all’incontro con la popolazione locale, con la società civile ucraina. Orecchie tese per ascoltare le sofferenze, le necessità dopo oltre 4 mesi di guerra.
Alcuni giorni prima, Kiev era stata colpita da un attacco missilistico russo che aveva distrutto un palazzo residenziale e un asilo. Un attacco, come a voler ricordare che nessun luogo in Ucraina poteva dirsi sicuro. In questo contesto, i circa sessanta pacifisti italiani, in rappresentanza di trentacinque associazioni, sono partiti da Cracovia dirigendosi, in pace, a Kiev. Una marcia simbolica, ma senza precedenti.
Un concetto “scomodo”
Il contesto non era propizio. La legge marziale, scattata subito dopo l’inizio dell’invasione russa, vietava e vieta qualsiasi manifestazione in Ucraina. L’incontro, svoltosi in una sala messa a disposizione dal Comune di Kiev, è iniziato con le parole del sindaco della capitale che ha accolto e ringraziato i pacifisti italiani. Un fatto significativo, per nulla scontato, perché in Ucraina il termine Pace viene vissuto con tensione. Spesso infatti, lo si accosta a una resa incondizionata dell’Ucraina alla Russia.
«Noi abbiamo provato più volte a dire a Mosca: “Cerchiamo di trovare una soluzione, proviamo a trovare un compromesso” – ha ricordato il sindaco Vitaliy Klitschko -, ma il compromesso non deve essere cedere una parte del nostro territorio. Se uno Stato straniero occupasse la Sicilia, voi direste che un buon compromesso sarebbe cedere la Sicilia all’invasore? Io credo di no. Noi siamo pronti a discutere di tutto, ma l’esercito russo deve lasciare l’Ucraina».
Trovare spiragli di pace, in questo momento, è un’impresa ardua e la Marcia per la pace promossa dal Mean (Movimento nonviolento di azione europea) ha rischiato di apparire utopistica. Ma a incoraggiare il sentimento dei pacifisti è stato anche il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas: «Se ci troviamo in una situazione in cui l’Ucraina vive un’aggressione così atroce e non trova più nessuna possibilità se non chiedere aiuto morale, economico e militare agli altri Paesi significa che l’azione nonviolenta ha fallito. Ma fallire non significa rinunciare all’impegno: dobbiamo continuare a a pensare, a riflettere insieme come trovare un’uscita dalla guerra, come fermarla. È una sfida enorme, ma dobbiamo affrontarla, dobbiamo continuare a lavorare. Sono grato agli organizzatori di questo evento che hanno accolto questa sfida».
Oltre le previsioni
Per i promotori della Marcia, il risultato ottenuto è comunque andato oltre le aspettative. Oggi, alla luce di quanto accaduto, è importante sottolineare che per la prima colta, dall’inizio del conflitto, un gruppo di europei – ucraini e italiani – ha provato a ragionare insieme su come spezzare la spirale di odio che la guerra ha innescato. «È indispensabile rendere più forte l’Europa, ma non militarmente – ha detto Angelo Moretti, portavoce del Mean, facendo un primo bilancio dell’iniziativa-. La nostra è una semplice proposta che inoltriamo all’Europa ben sapendo quanto sia impegnata e alle prese nelle diatribe tra Nato e Russia. Un’Europa la cui voce è ancora troppo debole. Chiediamo che la competenza delle istituzioni di Bruxelles sia spesa per i negoziati. Chiediamo un’Europa ancor più presente con una mediazione determinata e autorevole».
Dopo l’incontro la carovana dei pacifisti si è rimessa in marcia, riprendendo le proprie cose, raccogliendo emozioni e ricordi, a cominciare dalle immagini dei tanti sacchetti di sabbia messi a protezione delle finestre, e dei posti di blocco nei punti importanti di Kiev. Le immagini della guerra. A ricordarlo, anche le sirene dell’allarme aereo che poco prima di partire avvisavano la popolazione di prepararsi a far fronte all’ennesimo allarme aereo. Con gli occhi lucidi per le storie di sofferenza ascoltate in questi giorni, siamo tornati in Italia. Il cuore e la testa però sono ancora lì, a Kiev, in Ucraina.