Scomparso a 98 anni, fondò «L’Espresso» e «Repubblica». Non ha esitato a confrontarsi sul senso e la presenza della “verità”, come nelle ormai celebri interviste a papa Francesco

di Marco Testi
Agensir

Eugenio Scalfari
Eugenio Scalfari

Protagonista di un giornalismo laico, Eugenio Scalfari (6 aprile 1924 – 14 luglio 2022) è stato soprattutto un giornalista e intellettuale che, pur non nascondendo mai il suo ateismo, non ha esitato a confrontarsi sul senso e la presenza della “verità”. Come dimenticare i diversi incontri, in presenza e telefonici, con Papa Francesco per le ormai celebri interviste, più volte corrette dall’Ufficio stampa della Santa Sede, senza peraltro che gli incontri tra il fondatore di Repubblica e il Pontefice si interrompessero?

Il fatto è che la “riflessione” scalfariana sulle parole di un Pontefice che ha fatto i conti con la dura realtà del sottoproletariato, con la terza via peronista e con un marxismo cui Francesco non si è mai sognato di aderire o giustificare dal punto di vista ideologico e politico, è stata sempre influenzata da un pensiero solo paradossalmente più ateo. In quelle ideologie, infatti, la fede si è spesso affacciata sollecitando la ragione e generando dubbi.

Aperto al dialogo

Convinto che la distinzione tra anima e corpo, di derivazione cartesiana, costituisse «uno dei fondamenti nel monoteismo cristiano», della assoluta persistenza della convinzione dell’uomo come vertice e padrone della natura su base biblica, Scalfari ha interpretato e raccontato la storia naturale e umana come un cammino fatto anche di invenzioni.

È nota la sua interpretazione (che causò anche una delle smentite da parte del Vaticano per averla attribuita al Papa), dell’invocazione di Gesù al Padre nel Getsemani. In quel «perché mi hai abbandonato?» gridato sulla croce, Scalfari vedeva l’assenza della risposta di Dio (e quindi la sua inesistenza), che, di fatto, non ha arrestato la sua sete di ricerca. Altrettanto conosciuta era la sua predilezione per Lucrezio, autore del De rerum natura che aveva colto la verità «meglio di un sapiente, affidando la vita alla casuale combinazione degli atomi».

Ma è questo che rende per certi versi avvincente il suo cammino: l’aver accettato un confronto costante con un pensiero opposto al suo, quello cristiano, magari con la recondita intenzione «di convertire il Papa”», come scherzosamente gli disse per telefono Bergoglio.

L’altra parte

Scalfari ha interpretato, a volte strumentalmente, le parole del rappresentante sulla terra di un Cristo divino in cui lui non credeva, ma allo stesso tempo, e chissà quanto consapevolmente, ha probabilmente ceduto all’altra parte di sé, quella della speranza e della possibilità che nelle parole dell’altro si aprisse una diversa giustificazione dell’esistente.

Che non vuol dire conversione sic et simpliciter. E anche questa è ricerca di senso. Forse, il senso del mistero che caratterizza il rapporto dell’uomo con il divino o il “numinoso” (come diceva il teologo luterano Rudolph Otto), lo aveva toccato, suscitando in lui quella disposizione interiore che è presente in tutti gli uomini a fare l’esperienza di “Dio” o del “divino”, anche se molti nostri contemporanei preferiscono parlare di esperienza del “sacro”. Non lo sappiamo.

Sappiamo però ciò che in questi ultimi tempi dimorava nel suo cuore, un cuore di un uomo abituato alla lotta egotistica per la sopravvivenza politica e giornalistica. A raccontarlo queste sue parole: la vecchiaia è «una stagione in cui senti assai meno il problema della sopravvivenza individuale e dell’amore di sé, e molto più quello dell’amore per gli altri».

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