Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa, manifesta preoccupazione per la perdita di potere d’acquisto dei salari, il disagio delle giovani coppie e la necessità di politiche che promuovano la generatività

di Gianni Borsa
Agensir

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«È ora di comprendere che la famiglia è un “fatto” privato, ma di grande rilevanza pubblica. E che si tratta di un soggetto in grado di attivare processi per il bene pubblico, e per questo va sostenuta. Non si tratta di discorsi confessionali o ideologici, come qualcuno vorrebbe far credere: la famiglia è un patrimonio per le nostre società, che stanno attraversando una fase faticosa, segnata in profondità dalla pandemia e dalle ricadute del conflitto in Ucraina».

Vincenzo Bassi è presidente della Fafce (Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa, Federation of Catholic Family Associations in Europe), che rappresenta 32 associazioni da 20 Stati europei. Lo incontriamo a Strasburgo, nella sede del Parlamento europeo. Avvocato, svolge questo servizio alla Fafce affrontando numerosi viaggi. «Ci accorgiamo di svolgere un lavoro utile anche grazie all’impegno di chi mi ha preceduto – confida -. Abbiamo numerosi interlocutori: nella società civile, a livello ecclesiale, nelle istituzioni. Per questo avremmo bisogno di maggiori risorse, umane ed economiche”.

Partiamo dall’udienza con papa Francesco, in Vaticano, per i 25 anni di fondazione della Fafce. Nel suo intervento Bergoglio ha sottolineato il ruolo delle famiglie per l’accoglienza dei rifugiati ucraini. Un riconoscimento significativo…
Certamente. E possiamo confermare che questa è proprio la realtà. La famiglia è un soggetto che non si occupa solo dei suoi componenti, ma pure di chi le sta attorno. Un centro propulsore di solidarietà, un esempio concreto di sussidiarietà. E lo stiamo verificando proprio con l’ospitalità offerta da numerosissime famiglie, in Europa, che hanno aperto le porte di casa a chi fugge dalla guerra. Questo non fa che confermare un ruolo storico sostenuto dalle famiglie, le prime a occuparsi dei poveri, delle persone sole o fragili, creando comunità.

Eppure ora si corre un serio pericolo. Proprio il conflitto innescato dalla Russia sta facendo lievitare i prezzi di alimenti, energia, carburanti. L’inflazione ha raggiunto livelli difficilmente sostenibili. Non teme che nei prossimi mesi molte famiglie possano esser messe in ginocchio?
Vediamo erodersi il potere di acquisto dei redditi familiari. E questo può davvero generare un profondo disagio sociale. Intravvedo una nuova solitudine per i nuclei familiari. E qui occorrono certamente interventi sul piano economico e fiscale (ad esempio con una tassazione più giusta ed equa). Ma è oltremodo necessario scommettere sulle reti di famiglie, sul mutuo aiuto, su economie di scala a livello domestico… I bonus che alcuni Paesi applicano hanno un effetto palliativo, non sono una risposta sistemica. Gli interventi statali, anche sul versante legislativo, possono avere concrete ricadute, ma solo se al contempo si mobilita la società civile, se si comprende che la famiglia è una risorsa pubblica, orientata al bene comune.

Girando l’Europa ha trovato qualche provvedimento nazionale che proceda in tale direzione?
Riconosciamo che la Francia da sempre si è preoccupata di realizzare politiche favorevoli alla famiglia; e i dati della natalità Oltralpe lo confermano. Di recente abbiamo rilevato decisioni e azioni interessanti in Ungheria e nella Repubblica Ceca, benché in questi casi si tratta soprattutto di interventi statali, che non mirano sempre a coinvolgere il tessuto sociale o le associazioni familiari. Se dovesse cambiare l’orientamento di quei governi, queste politiche potrebbero essere accantonate. Noi insistiamo col dire che le associazioni familiari devono diventare interlocutori dei governi. E che occorrono politiche di premialità e non solo assistenza.

Il Parlamento europeo torna a occuparsi dell’aborto negli Stati Uniti: si tratta di un tema che non è di competenza comunitaria, e inoltre si interviene su una sentenza dell’Alta Corte di un Paese terzo. Cosa ne pensa?
Ritengo che vi sia un atteggiamento ideologico. C’è la pretesa di far diventare l’aborto un diritto soggettivo, cosa che non ha conferma nella giurisprudenza internazionale. Mentre esiste, ed è riconosciuto, il diritto alla vita. Io mi domando, piuttosto, perché non ci si occupa di sostenere le donne che non intendono abortire. E nessuno parla delle giovani coppie che vorrebbero avere figli, ma che non riescono a fare famiglia per via di impedimenti legati al lavoro o al costo della casa… Qui vorrei vedere impegnati i politici europei e la stessa realtà civile ed ecclesiale. Le giovani coppie avrebbero bisogno di un contesto favorevole e di esempi, belli e incoraggianti, capaci di trasmettere l’idea che la famiglia è una gioiosa responsabilità.

Da tempo Fafce sostiene che la famiglia è una risposta al nazionalismo. Cosa significa?
Come abbiamo scritto in un documento steso in vista della Conferenza sul futuro dell’Europa, la democrazia è impossibile senza le famiglie e il loro apporto generativo al futuro delle loro comunità. Le famiglie dovrebbero quindi essere riconosciute per il loro ruolo di agenti di democrazia, di convivenza, di apertura, nonché centri di azione sociale e protagonisti delle politiche demografiche e familiari. Hanno un ruolo centrale nelle comunità locali, sono spalancate al futuro. La famiglia è in grado di trasmettere i principi democratici e di condividerli all’interno delle loro comunità, attraverso reti di famiglie e associazioni familiari. Come quelle che danno vita alla Fafce.

 

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