Sul numero di luglio/agosto de «Il Segno» il racconto della guerra nell’analisi dell’esperta Nicoletta Vittadini. Ne proponiamo una versione più ampia

di Nicoletta VITTADINI
Docente di Sociologia della comunicazione e dei media digitali

Inviati al seguito della guerra durante una conferenza stampa
Inviati al seguito della guerra durante una conferenza stampa

Nel numero di luglio/agosto de «Il Segno» è stata pubblicata una riflessione di Nicoletta Vittadini, docente di Sociologia della comunicazione e dei media digitali, sull’informazione relativa alla guerra in Ucraina. Qui ne proponiamo una versione più ampia

 

Il conflitto che si sta svolgendo in Ucraina ha riportato all’interno dei confini dell’Europa il racconto della guerra attraverso i media. E si tratta di una guerra che ha almeno tre terreni di scontro: lo spazio fisico, l’economia e i media.

Due modelli narrativi

Nei media il conflitto riguarda principalmente due modelli narrativi che, con la loro diffusione, sono in grado di contribuire a orientare il sostegno dell’opinione pubblica internazionale. Un elemento fondamentale per l’evoluzione del conflitto.

Le due storie che si sono confrontate differiscono radicalmente: a partire dalle cause del conflitto (la difesa delle minoranze russofone del Dombass, oppure la volontà di estensione del proprio potere politico ed economico) fino alla narrazione e contro-narrazione dei singoli episodi bellici (il bombardamento di luoghi rifugio di civili e bambini, la distruzione di arsenali bellici). In questa narrazione i due leader hanno definito il proprio ruolo. In entrambi i casi si tratta del ruolo eroico di difensore della patria, almeno nella narrazione rivolta all’interno del paese.

Diversa invece la connotazione rivolta all’esterno: il leader coraggioso e fragile (quasi un Davide contro Golia) che si appella all’aiuto internazionale e il leader potente che racconta su tutti i piani (territorio, economia, media) la sua capacità di dominare la scena.

Le narrazioni del conflitto, descritte qui in modo necessariamente incompleto, sono state oggetto di operazioni di propaganda mediale (distribuzione di informazioni volte a indurre specifici atteggiamenti) i cui strumenti sono stati dichiarazioni pubbliche e operazioni di media relation che ognuno dei due governi ha realizzato.

Il ruolo di tv e social media

Il ruolo dei media tradizionali è stato cruciale, soprattutto quello del mezzo televisivo. Tuttavia, la narrazione della guerra in Ucraina si è avvalsa anche del ruolo istituzionale ormai assunto dai social media. A differenza di altri conflitti (tutti ricordiamo le primavere arabe) i social media non sono più solo uno strumento di nicchia in cui narrazioni dal basso fanno da controcanto ai mass media, ma sono media che hanno una diffusione importante e un ruolo istituzionale.

Secondo gli ultimi dati forniti da Digital 2022 (report annuale sulla diffusione del digitale nel mondo realizzato da We are social e Hootsuite), la popolazione europea che utilizza i social media varia dal 70% dell’Europa dell’Est, al 76% dell’Europa del sud, all’85% dell’Europa del nord. Gli utenti li usano per informarsi (secondo Digital 2022 la terza ragione per cui gli utenti usano i social media è “leggere le notizie”). Le principali testate giornalistiche sono presenti anche sulle piattaforme più recenti come TikTok. Il potere politico da tempo si è accorto che la comunicazione diretta ai cittadini attraverso i social media è uno strumento di costruzione dell’opinione pubblica.

Rispetto al conflitto in Ucraina i social media sono stati attori in prima persona nella comunicazione del conflitto e sono stati utilizzati per sostenere la diffusione delle due narrazioni contrapposte.

Le due piattaforme americane Meta (Facebook e Instagram) e Twitter sono intervenute rispettivamente proibendo la pubblicità agli account di proprietà dei media russi e impedendo la creazione di nuovi account legati alla Russia. Oltre a svolgere attività di fact-checking.

In secondo luogo, ciascuna delle due narrazioni del conflitto si è avvalsa della polifonia dei social media per promuoversi. Questa polifonia consiste nel fatto che i social media offrono un racconto a più voci degli eventi: le testate giornalistiche, i cittadini che usano le piattaforme, altri profili che hanno l’obiettivo di promuovere (propagandare) una delle due narrazioni della guerra. Queste voci si susseguono, senza differenze percepibili, in quello che viene definito feed degli utenti (ovvero tra i post che ciascuno legge e vede).

Per esempio, accanto agli aggiornamenti sui luoghi dove si combatte all’interno del territorio Ucraino, sempre più spesso compaiono post che attribuiscono a soggetti diversi la responsabilità remota dell’avvio del conflitto (i governi europei, gli Stati Uniti e la loro politica, ecc) suggerendo relazioni di causa/effetto.

Nicoletta Vittadini

Nicoletta Vittadini

Il problema della credibilità

Per propagandare la diffusione di una narrazione del conflitto, una via spesso percorsa è stata quella di incrementare il numero di profili (alle volte anche falsi) che pubblicano post a sostegno di una interpretazione dei fatti. La credibilità di una interpretazione, nei social media, infatti è fortemente influenzata dal numero di fonti che la propongono (soprattutto se apparentemente non connesse) e dalla quantità di volte in cui la si incontra nel feed.

I sondaggi di giugno 2022 promossi dallo European Council on Foreign Relations rivelano, per esempio, che quasi un terzo degli italiani attribuisce all’Ucraina o all’Europa la responsabilità della guerra. Certamente la quantità e diversificazione di profili e post pubblicati in Italia che sostengono questa ipotesi è correlabile (non come unica causa) a questi risultati.

L’influenza degli algoritmi

Infine, la propaganda attraverso i social media ha contato sulla combinazione tra effetti di verità e selezione algoritmica.

Come tutti i media, anche i social hanno le loro tipiche forme di veridizione (modi di raccontare che fanno sembrare vero quello che viene detto) che sono, per esempio, la testimonianza in prima o terza persona o il racconto di vita. Ecco che allora la diffusione di alcuni racconti in prima persona delle condizioni di vita delle minoranze russofone nel Dombass, di soldati di altri Paesi andati a combattere per difenderle, oppure dei bombardamenti sugli ospedali è stato uno strumento molto efficace di sostegno a una particolare narrazione. E se a diffonderle non è un profilo istituzionale, ma qualcuno che ne è protagonista o le ha raccolte da altri cittadini, l’effetto di veridizione è ancora più efficace.

Il funzionamento degli algoritmi contribuisce, poi, a incrementare questo fenomeno poiché ripropone agli utenti contenuti simili a quelli che li hanno già interessati. Una volta espresso un apprezzamento o scritto un commento a un post, sarà più facile vedere comparire contenuti simili sul proprio smartphone (o, più raramente, Pc) e quindi avere la percezione che una certa interpretazione sia quella dominante.

Stiamo ancora assistendo a un conflitto di narrazioni che si avvale di tutti gli strumenti messi a disposizione dai media. Proprio perché si tratta di un conflitto di narrazioni e non solo di numeri e fatti, spesso ci si muove nel terreno della misinformation, ovvero di una rappresentazione della realtà del conflitto che non è volutamente falsa, ma che porta a interpretare i fatti secondo una chiave interpretativa piuttosto che un’altra.

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