«Finisce un libro, fra poco ne inizieranno tanti altri»: così lo scrittore e insegnante definisce gli esami di Stato, rivolgendo un consiglio e un augurio ai circa 500 mila studenti impegnati

di Giovanna Pasqualin Traversa
Agensir

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Foto Sir

Prendono il via oggi gli esami di maturità, attesi con timore e trepidazione dai circa 500 mila studenti che dovranno sostenerli. Una prova che conclude il secondo ciclo scolastico e continua a rappresentare «una tappa decisiva nel percorso di crescita dei giovani», dice Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati. «La ritualità che gli esami di Stato si trascinano dietro – spiega – continua a coinvolgere gli adolescenti così come è accaduto in passato. È questo l’aspetto che dovremmo considerare di più: non limitarci a segnalare le tecniche in continua mutazione del meccanismo valutativo, pure importanti, ma tener presente come l’esame viene percepito dagli studenti. Ogni generazione ricomincia da capo e questo non dovremmo mai dimenticarlo».

Professore, quest’anno, dopo la temporanea sospensione dovuta al Covid, tornano i due scritti…
Anche se si è trattato di una scelta contrastata, a me sembra che questo ripristino sia indispensabile. Soprattutto oggi, nella nuova civiltà digitale, insegnare a leggere e a scrivere è il primo obiettivo che l’istruzione italiana deve porsi, anche per fronteggiare un’involuzione specifica evidente – non solo nelle aule – di cui tutti siamo testimoni nella vita quotidiana. Ecco perché le sette tracce che verranno diffuse dal Ministero domani, giorno della prima prova, rappresentano qualcosa di più che una semplice verifica. Solo nella scrittura il pensiero prende forma compiuta e acquista piena visibilità.

Il colloquio orale dovrà essere sostenuto a partire dal materiale elaborato dalle singole commissioni, composte dai docenti che hanno seguito gli studenti per tutto l’anno. Unico membro esterno il presidente…
Anche la conferma di questa modalità mi sembra essenziale perché spinge i giovani a collegamenti logici fra le singole discipline, predisponendoli all’attitudine di ricerca che dovranno sviluppare all’università, oppure preparandoli a presentarsi in modo adeguato nel momento in cui dovranno affrontare il mondo del lavoro. Inoltre, la possibilità di raccontare le esperienze fatte nei Pcto (ex alternanza scuola-lavoro) consente al candidato di personalizzare la propria testimonianza.

Qual è allora il vero significato della “maturità”?
Questi esami non costituiscono un rischio reale per gli studenti che vi partecipano: basta guardare l’altissima percentuale dei promossi per capirlo. In pratica chi viene ammesso ottiene il diploma. La selezione è già avvenuta nelle scorse stagioni. Piuttosto, la contesa potrebbe riaprirsi sul calcolo del punteggio da conseguire, ma il grande valore attribuito al triennio precedente (50 punti di crediti) dovrebbe scaricare di peso anche il momento fatidico della verifica conclusiva.

Ma allora perché i ragazzi continuano a vivere questo evento in modo appassionato e coinvolgente, talvolta perfino drammatico?
Lo sentono, a torto o a ragione, come un giudizio istituzionale sulla loro persona. Non serve spiegargli che si tratta di un sistema scolastico convenzionale, corrispondente solo in parte alla verità. Essi hanno la sensazione di essere giunti a una svolta esistenziale perché da luglio in poi abbandoneranno per sempre il gruppo-classe: luogo di apprendimento e di scontro; di conoscenza di loro stessi e degli altri; spazio sociale, affettivo e culturale. Entreranno in una nuova realtà dove saranno cruciali le scelte compiute. Oggi più che mai questo passaggio rappresenta una cesura. In altri termini, gli esami di Stato avvicinano i giovani al momento della verità quando, dopo essersi diplomati, dovranno scegliere cosa fare nella vita: università, lavoro. Molti di loro hanno paura di sbagliare. Del resto, anche per gli adulti scegliere è difficile perché per farlo bisogna rinunciare a qualcosa in nome di un valore in cui credere: un’azione oggi molto rara, in quanto abbiamo l’illusione di poter diventare questo e quello. La vera maturità invece implica un sacrificio, altrimenti non si diventa adulti.

Immaginando di incontrarli oggi, alla vigilia della prima prova, trovandoseli idealmente di fronte che cosa direbbe loro?
Cari ragazzi, davanti a voi ci saranno i docenti che ben conoscete. Siate quindi spontanei nei loro confronti cercando di mettere a frutto l’esperienza umana e culturale elaborata insieme. Considerate queste prove finali non quali sfide radicali, solenni e inappellabili, bensì come l’ultimo episodio di un lungo romanzo iniziato tanto tempo fa. Finisce un libro, fra poco ne inizieranno tanti altri. Mettete sul tavolo ciò che avete imparato, senza tacere gli ostacoli già superati oppure ancora presenti. Passate da un argomento all’altro mantenendo sempre davanti a voi la fiaccola interiore che vi guida: può essere una passione, un’attitudine, una sensibilità, semplicemente il vostro carattere; insomma quello che vi rende unici. Non abbiate timore a dichiarare le decisioni che avete preso riguardo al futuro, e se invece vi sentite ancora davanti a un bivio, confessatelo pure. La scuola non dovrebbe essere uno spazio noioso e specialistico, dove imparare gerghi e procedure, separato dai nostri veri interessi, bensì l’intensificazione della vita, meglio ancora: il modo in cui si cerca di stabilire il suo senso. Se lo mostrerete, avrete fatto centro. Ma se anche non vi riuscirete, andrete avanti lo stesso.

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