I compatroni dell’Europa spesero la vita come missionari nella parte centro-orientale del continente. Una testimonianza fondata su dialogo, conoscenza reciproca, cultura, accoglienza e rispetto delle differenze. La pace, tra Mosca e Kiev, potrebbe essere ispirata anche da loro

di Gianni Borsa
Agensir

Foto Ansa / Sir
Kiev si prepara al peggio, ma cerca di evitare il panico (foto Ansa / Sir)

L’Europa ha ricordato ieri i santi Cirillo e Metodio, missionari nelle terre slave, che Giovanni Paolo II eresse nel 1980 a compatroni del Vecchio Continente. I due fratelli, originari di Tessalonica (Grecia), spesero la loro vita per portare il Vangelo in quella che oggi chiamiamo Europa centro-orientale. Il loro apostolato prese in particolare la via dell’incontro tra culture (l’alfabeto “cirillico” ne è una conferma), del dialogo tra i popoli, del confronto e arricchimento tra le differenze.

Comprensione reciproca

Il messaggio della fede poteva calarsi – sembra essere questo un tratto essenziale della loro eredità – nell’esistenza delle persone proprio grazie a questa comprensione reciproca, al rispetto delle identità, al dialogo aperto e franco che mette in gioco tutto se stessi. Cirillo e Metodio (la cui vita fu peraltro irta di ostacoli) portavano Cristo usando la lingua del popolo nelle celebrazioni liturgiche, accostando donne e uomini nella vita quotidiana, immergendosi in essa, rispettandone storia, tradizioni, profilo identitario.

Se a questi principi si riconducessero tutti quei i politici che si ergono a difesa della religione, e se approfondissero i pilastri della fede, troverebbero non di rado elementi importanti per un saggio discernimento e persino lucide indicazioni per le loro importanti e delicate scelte.

Può essere questo il caso del minacciato – e minaccioso – conflitto russo-ucraino, che da settimane tiene il mondo con il fiato sospeso.

Le ambizioni di Mosca

Da tempo Mosca non nasconde le proprie ambizioni territoriali sui Paesi confinanti. In particolare nel mirino – e non è un modo dire – è finita l’Ucraina, cui, nel 2014, la Russia sottrasse – complici un’occupazione militare, un referendum e un vulnus alla Costituzione ucraina – un’intera regione: la Crimea. Un’azione (che seguiva le vicende di Euromaidan) contro l’integrità territoriale del vicino, e senza alcuna considerazione del diritto internazionale. La reazione, allora, fu debole, da parte sia di Kiev, sia del resto d’Europa e della Nato. Forse per scongiurare un più vasto ricorso alle armi. Ora il problema si ripresenta: Putin torna alla carica.

Da tempo continua ad ammassare truppe e carri armati a ridosso delle frontiere con l’Ucraina; nel frattempo mobilita navi e aerei che, senza mezzi termini, segnalano una pericolosissima escalation. E non c’è rassicurazione diplomatica da parte di Mosca che possa tranquillizzare il popolo ucraino, la Polonia e i Paesi baltici, l’Europa, il mondo intero.

Ecco allora perché appare necessario ricordare i santi Cirillo e Metodio.

Rispetto, dialogo, accoglienza delle differenze, atteggiamento di incontro e di convivenza pacifica: questo insegnano i compatroni d’Europa, cui per primi i due presidenti in campo, Vladimir Putin e Volodymyr Zelens’kyj, dovrebbero guardare per ispirare le loro prossime decisioni. Perché, come ha giustamente sottolineato la presidenza della Cei, «non c’è più posto per le armi nella storia dell’umanità».

Ti potrebbero interessare anche: