Onorificenze ai due “decani” accreditati presso la Santa Sede. Un’occasione per declinare i requisiti del “buon giornalismo” a partire da tre verbi: «Ascoltare, approfondire, raccontare»
di Maria Michela
NICOLAIS
Agensir
«Due esperti giornalisti, che sempre hanno seguito i Papi, l’informazione sulla Santa Sede e più in generale la Chiesa cattolica». Così il Papa ha definito Valentina Alazraki e Philip Pullella, che nella Sala del Concistoro hanno ricevuto dalle mani del Santo Padre le Insegne di Cavaliere e Dama di Gran Croce dell’Ordine Piano, alla presenza dei giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede. «Con l’onorificenza data a Valentina e Phil, oggi io voglio in qualche modo rendere omaggio a tutta la vostra comunità di lavoro; per dirvi che il Papa vi vuole bene, vi segue, vi stima, vi considera preziosi», l’omaggio del Santo Padre.
«Ascoltare, approfondire, raccontare», i tre imperativi per un “buon giornalismo”. «Il rischio è quello di lasciarsi schiacciare dalle notizie invece di riuscire a dare a esse un senso – la prima raccomandazione di Francesco – . La vostra missione è di spiegare il mondo, di renderlo meno oscuro, di far sì che chi vi abita ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia. È una missione non facile. È complicato pensare, meditare, approfondire, fermarsi per raccogliere le idee e per studiare i contesti e i precedenti di una notizia».
«Sottrarsi alla tirannia dell’essere sempre online, sui social, sul web»: nell’era dell’informazione digitale, è forse questo l’invito più difficile da raccogliere per i comunicatori. «Il buon giornalismo dell’ascoltare e del vedere ha bisogno di tempo – la tesi controcorrente del Papa -. Non tutto può essere raccontato attraverso le email, il telefono, o uno schermo. Abbiamo bisogno di giornalisti disposti a consumare le suole delle scarpe, a uscire dalle redazioni, a camminare per le città, a incontrare le persone, a verificare le situazioni in cui si vive nel nostro tempo. “scoltare è un verbo che vi riguarda come giornalisti, ma che ci riguarda come Chiesa, in ogni tempo e specialmente ora che è iniziato il processo sinodale – l’analisi di Francesco -. Ascoltare, per un giornalista, significa avere la pazienza di incontrare a tu per tu le persone da intervistare, i protagonisti delle storie che si raccontano, le fonti da cui ricevere notizie. Ascoltare va sempre di pari passo con il vedere, con l’esserci: certe sfumature, sensazioni, descrizioni a tutto tondo possono essere trasmesse ai lettori, ascoltatori e spettatori soltanto se il giornalista ha ascoltato e ha visto di persona».
«Nel tempo in cui milioni di informazioni sono disponibili in rete e molte persone si informano e formano le loro opinioni sui social media, dove talvolta prevale purtroppo la logica della semplificazione e della contrapposizione, il contributo più importante che può dare il buon giornalismo è quello dell’approfondimento».
Lo scandisce bene, il Papa, rivolgendosi non soltanto ai due giornalisti insigniti dell’onorificenza ma a tutti i giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede: «Che cosa potete offrire in più, a chi vi legge o vi ascolta, rispetto a ciò che già trova nel web? Potete offrire il contesto, i precedenti, delle chiavi di lettura che aiutino a situare il fatto accaduto. Lo sapete bene che, anche per ciò che riguarda l’informazione sulla Santa Sede, non ogni cosa detta è sempre nuova o rivoluzionaria – fa notare Francesco -. La Tradizione e il Magistero continuano e si sviluppano confrontandosi con le esigenze sempre nuove del tempo in cui viviamo e illuminandole con il Vangelo».
Il Papa ricorda poi la genesi di quella che per lui è una vocazione – «siete diventati giornalisti proprio perché curiosi di conoscere la realtà e appassionati nel raccontarla» – per declinare un altro dei verbi-chiavi del buon giornalismo. «Raccontare – spiega – significa non mettere se stessi in primo piano, né tantomeno ergersi a giudici, ma significa lasciarsi colpire e talvolta ferire dalle storie che incontriamo, per poterle narrare con umiltà ai nostri lettori. La realtà è un grande antidoto contro tante malattie. La realtà, ciò che accade, la vita e la testimonianza delle persone, sono ciò che merita di essere raccontato. Abbiamo tanto bisogno oggi di giornalisti e di comunicatori appassionati della realtà, capaci di trovare i tesori spesso nascosti nelle pieghe della nostra società e di raccontarli permettendo a noi di rimanere colpiti, di imparare, di allargare la nostra mente, di cogliere aspetti che prima non conoscevamo – l’omaggio sotto forma di auspicio -. Vi sono grato per lo sforzo di raccontare la realtà. La diversità di approcci, di stile, di punti di vista legati alle differenti culture o appartenenze religiose è una ricchezza anche nell’informazione».
«Vi ringrazio anche per quanto raccontate su ciò che nella Chiesa non va, per quanto ci aiutate a non nasconderlo sotto il tappeto e per la voce che avete dato alle vittime di abuso – il tributo ai giornalisti accreditati presso la Sala Stampa della Santa Sede -. E, per favore, ricordate anche che la Chiesa non è un’organizzazione politica che ha al suo interno destra e sinistra come accade nei Parlamenti – l’appello finale -. Non è una grande azienda multinazionale con a capo dei manager che studiano a tavolino come vendere meglio il loro prodotto. La Chiesa non si auto-costruisce sulla base di un proprio progetto, non trae da sé stessa la forza per andare avanti e non vive di strategie di marketing. Ogni volta che cade in questa tentazione mondana – e tante volte cade o è caduta – la Chiesa, senza rendersene conto, crede di avere una luce propria e dimentica di essere il mysterium lunae di cui parlavano i Padri dei primi secoli; e così la sua azione perde vigore e non serve a nulla».