Il capo della Chiesa greco-cattolica lancia un appello al ritiro immediato delle truppe russe sul confine orientale, all’indomani delle parole pronunciate dal Papa sulla situazione nel Donbass

di Maria Chiara BIAGIONI

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«La mentalità della guerra si ripresenta con il suo volto più oscuro e terribile. È minaccia di morte per la popolazione che si trova sul confine orientale ucraino. In nome di questa gente, gridiamo: fermate ogni azione militare, rimanete fedeli agli impegni presi per il cessate il fuoco, deponete le armi. La pace è possibile. Deve essere costruita, voluta, desiderata, cercata e noi come rappresentanti delle Chiese cristiane e delle religioni faremo di tutto per educare la nostra gente alla fraternità e invocare con la preghiera il dono della pace». È l’accorato appello di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, all’indomani delle parole pronunciate a Roma da Papa Francesco al termine del Regina Coeli sulla situazione che si sta creando al confine del Donbass.

Sua Beatitudine, ci può raccontare cosa sta succedendo? Cosa vi preoccupa di più?
La gente in Ucraina sta vivendo un momento di grande paura causata da un incremento della presenza delle truppe russe sulle frontiere del Paese e anche sul Mar Nero. Da fonti certe, apprendiamo che si concentrano più di 100mila soldati russi e sono in possesso di armi sofisticate. Gli esperti dicono che è il più grande numero di truppe russe dall’anno 2014. Questa concentrazione rappresenta un reale pericolo di una massiccia invasione militare da parte della Federazione Russa. Da quello che abbiamo capito finora, la Russia giustifica questa presenza come suo diritto a organizzare esercitazioni militari sul posto. Da parte ucraina però si tratta di una grave pressione militare e politica. La preoccupazione è che si tratti dell’inizio di un grave peggioramento della situazione. Come dice il Santo Padre, con la guerra non si guadagna nulla, ma si perde tutto.

Perché ora? Cosa ha fatto precipitare la situazione?
In realtà non abbiamo capito perché la situazione sia precipitata in questo modo. Il nostro presidente attuale ha sempre detto che il punto chiave del suo programma è il perseguimento di una soluzione pacifica di questo conflitto in Donbass e ha sempre fatto di tutto per evitare lo scontro militare. E su questa linea, tutta la società ucraina è concorde. Da un anno poi, vigeva l’accordo sul cessate il fuoco in questa zona ma all’inizio del 2021, la situazione sul confine nel Donbass è peggiorata. Ogni giorno arrivano notizie di giovani soldati uccisi e il numero delle vittime dall’inizio di quest’anno è arrivato a più di 50 soldati uccisi. E’ stato istituito un gruppo di contatto che lavora per l’applicazione degli Accordi di Minsk e per prevenire l’uso delle armi, aprire canali per l’aiuto umanitario. Non si capisce quindi perché la situazione sia precipitata. 

Il Papa chiede «gesti capaci di promuovere la fiducia reciproca e favorire la riconciliazione e la pace». È ancora possibile perseguire la via diplomatica?
Tutti siamo d’accordo come società civile, come politici e responsabili militari che non ci potrà mai essere una soluzione militare a questo conflitto. Si sta quindi cercando la via diplomatica secondo quanto previsto nel vertice dei presidenti di Francia, Germania, Russia, Ucraina (“formato Normandia”) per promuovere il dialogo. Ma vediamo che questi accordi non stanno dando frutti immediati e diretti sul posto.

Il Papa è preoccupato anche della grave situazione umanitaria in cui versa quella popolazione. Com’è la situazione da questo punto di vista?
Prima della pandemia, esistevano dei punti di passaggio. Molti venivano dalla zona occupata in Ucraina per ritirare la pensione e con questi pochi soldi potevano sopravvivere. Era anche attraverso questi passaggi, che la Croce Rossa internazionale e la Caritas cercavano di far arrivare in vari modi gli aiuti umanitari alla popolazione. Ma da quando si è dichiarato lo stato di emergenza a causa del Covid, tutti questi passaggi sono stati chiusi. E questo ha aggravato moltissimo la situazione. Noi come Chiesa manteniamo i contatti con i nostri sacerdoti e parrocchie ma la comunicazione si sta facendo di giorno in giorno sempre più difficile. E se a questa situazione si dovesse aggiungere un attacco militare, sarebbe una tragedia umanitaria. Siamo quindi grati che il Santo Padre abbia attirato l’attenzione della comunità internazionale per riaffermare che non esiste una soluzione militare. Per proseguire sul cammino della pace, bisogna ritirare le truppe. Non si può legittimare l’uso delle armi, soprattutto in questa zona e in queste condizioni.

Vuole lanciare anche lei un appello all’Europa?
Sono il presidente del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle organizzazioni religiose, organismo che riunisce le Chiese cattoliche, ortodosse, protestanti, ebrei e musulmani. Noi recentemente abbiamo fatto un appello per chiedere una tregua pasquale perché almeno per la Pasqua ortodossa che si celebrerà tra due settimane in Ucraina, si possa ascoltare il canto pasquale e il suono delle campane e non il rimbombo degli spari.

 

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