Un giornalista racconta la tragica giornata del 12 dicembre 1969, lo scoppio della bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, l'inizio della stagione della “strategia della tensione”

piazza_fontana 1969

di Sergio BORSI

«In un palazzo di piazza Fontana è scoppiata una caldaia del riscaldamento. Ci sono molti feriti»: è così scarno il messaggio che arriva a noi cronisti che ascoltiamo il sindaco di Milano, Aldo Aniasi, mentre parla a un convegno tecnico-scientifico in piazza Morandi, alle spalle del Palazzo dei giornali di piazza Cavour. Non abbiamo dubbi: via tutti di corsa verso piazza Fontana che raggiungiamo, trafelati e senza fiato, dopo un quarto d’ora.

La scena è impressionante: la gente preme contro uno stretto corridoio creato dai vigili urbani (allora si chiamavano così) per consentire il passaggio a decine di ambulanze, auto della polizia e dei carabinieri, autopompe dei vigili del fuoco. Difficile raccogliere notizie precise. Si capisce subito che non è esplosa una caldaia, ma che si tratta di un attentato, una tragedia. Da qualche “fonte autorizzata” sappiamo che è esplosa una bomba, un ordigno potentissimo, nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Ci sono molti morti e moltissimi feriti.

Il cronista riordina le idee e collega tutte le sue conoscenze del luogo. Dunque la piazza, alle spalle del Duomo, dove ha sede l’Arcivescovado, una fontana nel centro e, a destra, lo stabile dove ha sede la Banca. Ogni settimana, il venerdì, si svolge il mercato degli agricoltori. Dalla Lombardia, ma non solo, convergono produttori, sensali, commercianti di prodotti della terra. L’afflusso è particolarmente intenso e molti partecipanti al mercato entrano in banca per le operazioni conclusive delle trattative. La sede dell’istituto si presenta con un grande salone circolare, circondato per intero dagli sportelli. Al centro un grande tavolo ottagonale in legno, sul quale sono posati i moduli per i versamenti e i prelievi, la carta per scrivere, le penne. L’occorrente a un cliente della banca. Sotto il banco c’è un vano che i clienti sono soliti usare come deposito delle borse (ma senza valori), ritirate a fine giornata.

L’attentatore ha posato la borsa contenente l’ordigno ad altissimo potenziale sotto il tavolone e alle 16.37 lo ha fatto esplodere. Diverse le ipotesi degli artificieri. Quella più verosimile è di una scatola di alluminio contenente sette-otto chili di tritolo o plastico o dinamite, racchiusi in una borsa e collegati con una miccia a combustione lenta. L’esplosione avviene pochi minuti prima della chiusura della banca. Nel salone, in quel momento, ci sono un centinaio di persone e una decina di impiegati. Altri impiegati lavorano al piano superiore, una sorta di balconata a vetri sul salone sottostante. Primo bilancio della strage: 13 morti e 91 feriti. I morti in definitiva risulteranno 17 e i feriti 88.

I cronisti raccolgono testimonianze fra i sopravvissuti e alcuni cittadini che occasionalmente si trovano in zona. «Ho visto saltare i banconi per aria», «Ho visto la gente proiettata in strada», «Ho visto corpi umani ricoperti di sangue, gente che vagava mutilata nel corpo», «Dappertutto si levavano grida e lamenti, un inferno».

Nell’altro palazzo, dove ha sede l’Arcivescovado, la notizia dell’attentato fa bloccare il lavoro degli uffici e i collaboratori più stretti del cardinale Giovanni Colombo raccolgono alcune informazioni. Non è trascorso molto tempo e l’Arcivescovo scende nella piazza e si avvia nella banca facendosi largo fra la folla attonita e sgomenta. Il Cardinale entra nel salone devastato, si raccoglie in preghiera, benedice le salme, dialoga con qualche sopravvissuto e con alcuni testimoni. Il suo volto è segnato dalla tragedia, i suoi occhi esprimono tutto il dolore che tiene stretto nel cuore. Al tempo stesso s’interroga sugli obiettivi dei terroristi, autori della strage, e sulle vittime innocenti che hanno pagato con la loro vita.

Milano è ferita, molti pensano a un crimine politico. Di destra o di sinistra? Ci vorranno anni per avere una risposta credibile.
Sono queste le prime notizie raccolte e le prime valutazioni che frettolosamente il cronista ha trascritto sul proprio blocco di appunti e le prime voci confuse affidate a piccoli registratori. Ora in redazione ad Avvenire, a scrivere, con il cuore gonfio di tristezza, le lacrime che scendono sul viso mentre, riga dopo riga, si comincia a costruire, a spiegare, a raccontare…

Da quel 12 dicembre 1969, regolarmente, a ogni anniversario davanti alle vetrine della Banca, sono posate corone di fiori e d’alloro perché tutti ricordino quella strage, anche le generazioni che non hanno vissuto quegli anni. Piazza Fontana non è stato un episodio isolato, possiamo dire a posteriori. Il terrorismo a Milano e in Italia ha provocato negli anni innumerevoli vittime: poliziotti, magistrati, politici, giornalisti, persone comuni. La matrice brigatista è sempre stata esplicita; altri attentati sono stati attribuiti a elementi di estrema destra. Molti episodi rimangono ancora oggi impuniti, ma certamente il terrorismo ha segnato la storia recente del nostro Paese e lascia un monito indelebile per l’oggi.

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