Stati Uniti e Gran Bretagna, Russia e Turchia, Siria e Libia: uno sguardo alla carta geografica mostra un Vecchio continente pressato dall’esterno, oltre che diviso al suo interno. La via d’uscita? Tornare giovane e unita
di Gianni BORSA
Se gli Stati Uniti di Donald Trump (sul fronte-migrazioni) e la Gran Bretagna di Theresa May (Brexit) sembrano imboccare la strada di un nuovo isolazionismo, l’Europa non può che guardare con preoccupazione questa levata di scudi. Washington ha sempre rappresentato un partner privilegiato, ricco e rassicurante per il Vecchio continente. D’altro canto Londra è – al di là di ogni valutazione – parte integrante e significativa della storia e dell’oggi europei.
Le cronache politiche, economiche, militari, migratorie degli ultimi anni mostrano peraltro come, attorno all’Europa comunitaria, altri e numerosi muri si stanno progressivamente elevando. La Russia di Putin, lontana anni luce dalle speranze sollevate nel dopo-Muro di Berlino, ha ormai imboccato una strada minacciosa, a tratti bellicosa, toccando direttamente (Ucraina) o indirettamente (Siria e non solo) gli scenari in cui è coinvolta l’Ue. Non di meno il presidente turco Erdogan ha dato una svolta antidemocratica e “confessionale” a un Paese che fino all’altro ieri rappresentava un ponte tra est e ovest, tra Europa e Asia, tra islam e “cristianità”.
A sud-est l’Europa fa ovviamente i conti con un Medio Oriente costantemente in fiamme: dalla Siria all’Iraq fino alla Terra Santa, è arduo intravvedere punti fermi nella geopolitica della regione e i profughi di guerra che arrivano da quell’area lo testimoniano ogni giorno. A sud, sull’altra sponda del Mediterraneo, la Libia è l’emblema di un continente africano che fatica a reggersi in piedi: le migliaia di migranti che tutti i mesi fuggono disperati da fame, violenze e arretratezza, sono la punta d’iceberg di una storia, recente e remota, che dovrebbe scuotere le coscienze delle cancellerie europee, degli stessi Stati Uniti e, ultima arrivata, della Cina.
Certo, si potrebbe anche vedere il bicchiere mezzo pieno costituito da piccoli segnali che, a ogni latitudine, fanno immaginare un mondo migliore: la cooperazione internazionale, il dialogo interculturale, la presenza di innumerevoli, diffuse e pacifiche comunità religiose, i segnali sparsi di un ritrovato sviluppo socio-economico, tengono vive le speranze di cambiamento. Ma indulgere all’ottimismo ha senso solo se alle buone intenzioni corrispondono azioni politiche coraggiose, efficaci, lungimiranti.
Ebbene, questa Europa “circondata”, che assiste attonita alla brutta piega che sta prendendo il Globo, segnata al suo interno dalla recente crisi economica, dall’invecchiamento demografico, da nuove frontiere, dalle paure del terrorismo, da un miope nazionalismo, da un populismo gridato e sterile, saprà ritrovare la via di un ringiovanimento interno e di un vivace protagonismo sulla scena internazionale?
A questo la invitava papa Francesco nella sua visita al Parlamento europeo di Strasburgo, a fine novembre 2014. «Nel rivolgermi a voi quest’oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un messaggio di speranza e di incoraggiamento. Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa – insieme a tutto il mondo – sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita». Bergoglio aggiungeva: «Incoraggiamento a tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell’Unione europea, i quali desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell’uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell’uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente».
Dalle parole di un grande uomo di fede alle decisioni politiche la distanza è immensa. Ma le prime possono ispirare, senza invasioni di campo, le seconde. Ne può emergere un’Europa nuovamente unita, “giovane”, solida e aperta al mondo.