La sintesi dell’intervento tenuto al comitato internazionale della Fondazione Oasis dal sociologo dell’Università Cattolica Mauro Magatti
di Mauro MAGATTI
Sociologo dell’Università Cattolica di Milano
La fase storica alle nostre spalle (1989-2008) segue la fine delle ideologie storiche ed è quella della «fine del tempo e l’apertura dello spazio». Sul piano sociale si passa dal tema dell’uguaglianza – la società degli uguali – al tema della differenza – la società dei diversi. Nel nuovo contesto, emergono la leggerezza della vita quotidiana, l’attrazione dell’evento, l’autenticità della singolarità individuale.
Alimentata tanto dall’ala di sinistra – «io sono legislatore di me stesso» – quanto dall’ala di destra – «ciascuno è tanto più libero quante più scelte ha davanti a sé» -, la libertà, che per la prima volta nella storia diventa un’esperienza di massa, comincia a pensarsi come apertura, cioè come sperimentazione e vagabondaggio. È nel rifiuto del padre e della tradizione che si comincia a parlare di auto-realizzazione. Esercizio, peraltro, impossibile, che si risolve in un’ingenua apertura nei confronti del nuovo, dell’ignoto se non dell’assurdo. Una libertà ab-soluta finisce così per farsi attirare dal fascino vorticoso del naufragio e dell’eccesso. O, nella sua forma mediocre, ad accontentarsi di piccoli godimenti seriali che cercano di saturare una soggettività senza fondamento.
La centratura sull’Io si accompagna alla progressiva perdita di consistenza della realtà. Ad affermarsi è un cheering nihilism nella forma di un individualismo radicale caratterizzato da una sfiducia profonda nei confronti dell’essere. Al punto da rendere problematico il nostro rapporto con la realtà (come dimostra la crisi parallela del matrimonio e del patrimonio, segno della pretesa evaporazione dell’imprescindibile legame intergenerazionale).
Intrecciandosi alla rivoluzione permanente dei mezzi di comunicazione mediale, a poco a poco la nostra vita personale e sociale viene assorbita in nuovi ambienti comunicativi, con la formazione di quello che può essere definito «spazio estetico mediatizzato». Uno spazio dove la comunicazione perde il suo ancoraggio alla «verità» – e, di conseguenza, alla realtà – per diventare mera espressione dell’emittente. Nello «spazio estetico mediatizzato», l’unico criterio accettato è il raggiungimento dell’effetto: una comunicazione è vera se è performativa, cioè se produce il suo scopo.
Ciò che viene genericamente indicato come tecnicizzazione, più precisamente consiste nella progressiva estensione e infittimento del «sistema tecnico planetario» che tende a pervadere tanto la nostra vita quotidiana quanto gli apparati che reggono un’organizzazione sociale sempre più complessa. È per la sua natura sistemica, che il «sistema tecnico planetario» tende ad avere un effetto normativo, imponendo procedure, standard e criteri performativi.
La novità di una tale configurazione sta nel fatto che la forma sociale che si viene a costituire è «immanenza in movimento», che per principio, rifiuta la trascendenza – cioè tutto ciò che va al di là del dato accertabile empiricamente o esperibile soggettivisticamente. L’essere umano non riconosce più alcuna figliolanza e chiede di esse pienamente titolare della propria parte di eredità, di «ciò che gli spetta».
Non si tratta di un’immanenza statica. Nel tecno-nichilismo, la capacità di «dare movimento» attraverso la moltiplicazione della contingenza – creando, in modo illimitato, nuove opportunità attraverso l’innovazione tecnica e nuovi significati attraverso la rappresentazione comunicativa – sostiene la pretesa di aver finalmente raggiunto la capacità di sfuggire alla staticità dell’immanenza. Scientificamente pensata per «soddisfarci», essa finisce per determinare il «regime dell’equivalenza» – dove tutto, ridotto a mera opinione, è uguale a tutto – arrivando così a costituire una nuova forma di secolarizzazione (nei fatti più che nelle dichiarazioni) ostile alla trascendenza e da qui alla fede.
Si comprende, dunque, che la nuova stagione della secolarizzazione – che spinge alcuni autori a parlare di «crisi della fede» – derivi da una fondamentale sfiducia nell’essere, accusato di implicare una visione delle cose troppo rigida, autoritaria e normativa. Il vero attacco alla fede sta qui.