Adottato, a fine febbraio, dal Governo italiano per il biennio 2016-2018. I pareri di Fondazione Migrantes, Gruppo Abele, Comunità Papa Giovanni XXIII
di Gigliola ALFARO
«Prevenzione, azione penale, protezione e cooperazione». Sono le quattro parole chiave del nuovo Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento adottato in Italia per il biennio 2016-2018. Approvato il 26 febbraio, non è stato finora molto pubblicizzato. Due i binari su cui muoveranno gli interventi: il primo di contrasto e repressione del crimine di sfruttamento di esseri umani, affidato alle forze dell’ordine, e il secondo di prevenzione e protezione delle vittime, affidato ai servizi sociali e del privato sociale accreditato. Si tratta di creare nel biennio 2016-2018 un coordinamento più efficace multi agenzia e multidisciplinare, attraverso il meccanismo nazionale di referral (un insieme di raccomandazioni e misure pratiche che guideranno tutti gli attori coinvolti), sulle diverse forme di tratta e sui vari target di vittime. Le novità principali riguardano la formazione di tutti gli attori impegnati nel campo: sono state infatti realizzate linee guida per l’identificazione delle potenziali vittime sia tra i migranti irregolari sia tra i profughi richiedenti asilo, e procedure operative per la prima assistenza e la presa in carico dei minori.
«Dopo una lunga attesa, durata tre anni, il piano nazionale contro la tratta 2016-2018 risulta deludente per diversi motivi» sostiene monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. Anzitutto «il piano viene pubblicato quando si sono più che dimezzate le risorse per il prossimo triennio: da 9 milioni a 3 milioni l’anno. Non sono considerate per nulla esperienze positive di ripensamento urbanistico e sociale delle nostre periferie, dove maggiore è la concentrazione delle situazioni che generano, da una parte, conflittualità sociale e, dall’altra, minor tutela delle vittime». Si parla, poi, «di un sistema unico di protezione e di infrastrutture, mentre in realtà i servizi sono ancora diversi, indipendenti e spesso a bassissima tutela (si pensi solo alle vittime di tratta nei Cara, nei Cas, nei Cie…)». Si parla, inoltre, «di unità di strada, di fatto smantellate in moltissimi servizi sociali, e di operatori formati nei diversi servizi di polizia e sociali, quasi inesistenti nelle principali città».
«L’aspetto più positivo è lo sforzo di mettere assieme i molti contributi che le associazioni e gli enti che lavorano sul campo hanno offerto in questi anni. È stato evidenziato che sarebbe importante avere una strategia univoca rispetto alla tratta, ai richiedenti protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati», dichiara Mirta Da Pra, responsabile del Progetto Vittime del Gruppo Abele, per la quale, però,«sembra che il piano abbia come sottotitolo “sarebbe bello che…”, cancellando gli anni di lavoro che avrebbero permesso oggi di tradurre alcune buone pratiche ampiamente sperimentate da progetti a servizi, in modo da concentrarsi ora sull’evoluzione del fenomeno». Inoltre, non c’è «unitarietà dei diversi livelli di intervento (nazionale, regionale e locale), tenendo fuori dalla regia le associazioni e gli enti che hanno lavorato in questi anni e che hanno contribuito alla scrittura dell’articolo 18» del decreto legislativo 286/98 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero). Non solo: «Manca la volontà politica di una strategia, anche a livello europeo, che dica che la tratta è nodale nei flussi migratori. Purtroppo oggi le vittime di tratta sono di serie B rispetto ai richiedenti di protezione internazionale». Al contrario, «le vittime di tratta hanno bisogno di un’azione politica forte». Per Da Pra, «l’unica autorità importante che denuncia il fenomeno è il Papa, mentre non abbiamo in politica qualcuno che alzi la voce. Ormai, però, non è più tempo di enunciazioni, ma di fatti concreti. La politica batta su questo tema non uno, ma dieci colpi».
«Anche se nel piano sono dedicate solo due righe allo scoraggiamento della domanda, è molto importante. Noi ci battiamo da trent’anni per la sua riduzione», afferma Maurizio Galli, referente nazionale della Comunità Papa Giovanni XXIII per la tratta, che precisa:«In questo momento dobbiamo lavorare sulla realizzazione di ricerche sulla riduzione della domanda in modo da individuare attività e meccanismi innovativi». Oggi «tra i richiedenti asilo troviamo molte persone, in particolare ragazze, che rischiano di essere assoggettate dalla malavita e di finire sulla strada. Da un paio di anni le ragazze vengono condotte in Italia sui barconi. Perciò, le linee guida dell’identificazione, le nuove procedure e la presa in carico dei minori sono innovative rispetto ai nuovi scenari. Ormai – aggiunge – la perversione dei clienti è a un livello esagerato: si sentono proprietari della persona. Le più richieste sono le minorenni dai 13 ai 16 anni e le donne incinte, che possono fornire rapporti senza preservativo e senza rischio di gravidanze». Guardando al futuro, per Galli, «tutto è migliorabile: innanzitutto, bisogna avere la volontà di tagliare questo fenomeno. Secondo noi è importante che la prostituzione diventi reato e che s’individuino percorsi per rendere le vittime autonome. Non servono programmi stantii. Serve il reinserimento lavorativo con borse lavoro e tirocini».