Non si può e non si deve confondere l’Islam con il terrorismo
di Maria Chiara BIAGIONI
Un incontro all’Eliseo con i responsabili delle comunità ebraiche e musulmane di Francia. Prima di ripartire per Tolosa, il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy ha voluto incontrare i leader ebraici e musulmani, mentre i media continuavano a dare notizie circa l’attentatore di Tolosa, un ragazzo di origini franco-algerine di 24 anni, che si dichiara militante di Al Qaeda. «Ho tenuto a riunire insieme i leader religiosi – ha detto Sarkozy al termine dell’incontro – per mostrare che il terrorismo non riuscirà a dividere la nostra comunità nazionale. Dobbiamo rimanere uniti, non dobbiamo cedere né alla confusione, né alla vedetta».
Anche il rettore della moschea di Parigi, una delle principali autorità musulmane in Francia, ha lanciato oggi un appello a «non confondere l’Islam con gli attacchi di Tolosa». Sulla delicata situazione che sta vivendo la Francia, ecco l’opinione di padre Christophe Roucou, direttore del Servizio per le relazioni con i musulmani della Conferenza episcopale francese.
Dunque dietro l’attentato di Tolosa c’è una matrice terroristica islamica? Qual è stata la sua reazione?
È stata una reazione di tristezza. Mi unisco anch’io a quanto hanno chiesto oggi le autorità religiose di non fare confusione tra questa persona e la maggioranza della comunità musulmana che vive in Francia. Una popolazione che, secondo statistiche sommarie, va dai 3,5 e ai 5 milioni di persone e più del 60% è cittadino francese: è, pertanto, superata l’immagine dell’immigrato islamico straniero in quanto i due terzi dei musulmani che vivono in Francia sono nati qui, hanno una nazionalità francese e la maggioranza chiede di poter vivere la propria fede musulmana in quanto cittadina francese. Chiarito questo, occorre anche aggiungere che da qualche anno constatiamo che ci sono tentativi di ripiegamento comunitario che si registrano in modo particolare nei quartieri popolari, nelle periferie. Si sta affermando una revisione ideologica dell’Islam che tocca ambienti popolari che spesso si trovano in difficoltà sociale.
Quali sono le ragioni che portano a questo ripiegamento settario?
Le ragioni le stiamo ricercando e sono motivo di riflessione. Si constata però un po’ dappertutto in Europa che la gente è destabilizzata dalla mondializzazione, dal processo di globalizzazione. A questo, negli ultimi anni, si è aggiunta la crisi economica e con la crisi, la precarietà sociale. Ci sono pertanto diversi fattori che si accumulano e che sono oggetto di studi e dibattiti – ma che rimandano tutti a un problema sensibile e urgente: la questione di un’integrazione mancata. Non si può dire che in Europa non ci sia integrazione ma è un’integrazione poco riuscita. È una situazione che rivela chiaramente che ci sono persone e, in particolare, giovani e giovani adulti, che si sentono esclusi dalla società e, pertanto, cercano un’identità forte e questa identità non la trovano in una situazione sociale normale ma vanno a ricercarla nella religione.
L’attentatore è un giovane di 24 anni. Non è la prima volta che i giovani diventano protagonisti di atti terroristici…
Occorrerebbe ovviamente conoscere e sapere di più di questo giovane. Ma credo che sì, è vero: davanti alla precarietà o al fallimento sociale, i giovani che in altri tempi si sarebbero rivolti ad altri percorsi, oggi vanno in Afghanistan, in Pakistan dove trovano in una motivazione religiosa il modo di opporsi a quello che chiamano la dominazione dell’Occidente, o del mondo ricco. Ciò che mi preoccupa di più è che giovani che vogliono conoscere meglio l’Islam ottengono borse di studio in Arabia Saudita, per mancanza di istituti di formazione all’Islam in Francia. Vanno lì per due anni e quando ritornano sono sicuri di conoscere la religione. Altra difficoltà quindi è l’ignoranza religiosa. Ignoranza che a dire il vero si registra tra giovani cattolici e giovani musulmani. Ma è sull’ignoranza che le correnti estremiste fanno maggiore presa. Non è la maggioranza dei musulmani ma bisogna prendere atto che le correnti estremiste e salafiste esistono.
Siamo dunque al fallimento?
No non è un fallimento. Direi piuttosto che è una prova. Un dramma, come quello che abbiamo vissuto a Tolosa, rileva ignoranza: come diceva anche Giovanni Paolo II, c’è ancora gente che utilizza il nome di Dio per compiere atti che non hanno nulla a che vedere con Dio. è una perversione della religione. Ora il rischio più grande da evitare è quello che la gente dica che il dialogo è inutile, che non serve a niente. Penso invece che fatti come quelli di Tolosa ci obbligano piuttosto a raddoppiare l’impegno a conoscere l’altro, ad aprirsi. Il ripiegamento su se stessi non può che aggravare la situazione. La Francia oggi ha paura. Preoccupa anche ciò che da 3, 4 anni sta accadendo a livello politico e mediatico dove ci sono persone che fanno ricorso a parole dure e aggressive che dividono. Quando si ha paura non si riflette. C’è quindi una responsabilità a non buttare benzina sul fuoco.
Come uscire dalla paura?
Non ci sono soluzioni miracolose. L’unica via che intravedo è che bisogna tornare a incontrarsi, ad aprire le porte delle famiglie, delle comunità e anche dei luoghi di culto: chiese, sinagoghe, moschee. Per uscire dalla paura occorre abbattere l’ignoranza e favorire l’incontro.