Le file negli ospedali per donare il sangue, la corsa a offrire beni di prima necessità, l’impegno dei volontari. Nella crisi e nelle tragedie siamo messi con le spalle al muro e riscopriamo l’altro

solidarietà

Quando siamo travolti da una crisi, ci ricordiamo dell’altro e della sua vita, che nella nostra società, definita da alcuni individualizzata, da altri egocentrica, da altri ancora narcisista, tendiamo solitamente a escludere dal nostro orizzonte. Allora cambia la nostra ruotine e si modifica il nostro comportamento, il nostro stile nei rapporti sociali.

Emerge in noi un sentimento di compassione, una dinamica di immedesimazione, un legame di solidarietà. C’è un forte ritorno dell’umano nel momento delle tragedie, come purtroppo riscopriamo quando una popolazione viene colpita da un terremoto. C’è la fila negli ospedali davanti alle sale predisposte per la donazione di sangue, i punti di raccolta di beni di prima necessità vengono velocemente riempiti. Le associazioni di volontariato si attivano per portare il loro sostegno e trovano una forte risposta.

Il nostro individualismo viene cacciato indietro, riemerge la socialità del vicinato che si chiede: posso fare qualcosa?

Nella crisi siamo messi con le spalle al muro, riscopriamo il senso del nostro limite. Tutta la nostra tecnologia non riesce a rispondere all’esigenza dell’imprevedibile. Ci interroghiamo su quel che si poteva ipotizzare o come ci si poteva preparare a un evento probabile. Ci giriamo intorno, ma la nostra domanda è perché, perché accade?

La nostra società ci abitua a concentrarci su noi stessi e sulla ricerca di affermazioni personali, piccole o grandi che siano. Cerchiamo di allontanarci dal dolore, perché ci rende deboli; non siamo abituati ad affrontarlo. Ma quando torniamo a provare compassione, si risveglia in noi una domanda che cerca il senso della vita e riemerge la dimensione del sacro che tende a rafforzare la coesione sociale. Nella crisi profonda torniamo a sentirci comunità.

Durante una tragedia germoglia la solidarietà, perché nella sofferenza e nel dolore si accorciano gli spazi sociali: non c’è più differenza di classe o culturale, né tantomeno contrapposizione ideologica o distinzione di status sociale. Ci si riconosce abitanti della stessa casa comune.

La crisi, dovuta a questioni ambientali, umane economiche o sociali, ci porta controcorrente, è una svolta brusca. La società non è mai ferma, è dentro a continue trasformazioni che procedono lentamente; noi le viviamo quotidianamente e ci accompagnano, a volte ci guidano e ci coinvolgono nelle loro dinamiche senza che noi ce ne rendiamo conto. Così ci lascia abituare a un contesto diverso, ma non sconvolto. Il cambiamento sociale, mentre avanza, non ci interroga e noi tanto spesso lo assecondiamo, attenti soprattutto al nostro interesse. La crisi repentina provoca un senso di smarrimento e ci porta invece a ritrovare un nuovo assestamento e quindi a guardarci intorno a partire dalle persone che in quella crisi per prime sono coinvolte.

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