La “primavera” mette alla prova Ue e Paesi arabi
di Gianni BORSA
Il movimento – di persone, idee, beni e risorse – e non la staticità; l’incontro e il confronto, non la distanza o le barriere; la conoscenza reciproca per la comprensione e la cooperazione. Il bacino del Mediterraneo è in fermento e quanto sta accadendo sulle sponde dell’Africa settentrionale, nell’area mediorientale, nella regione balcanica può essere foriero di novità positive per la pace e lo sviluppo, ma una transizione improvvisa e senza regole potrebbe anche produrre effetti devastanti e involuzioni sul piano politico, economico e sociale.
«Ogni uomo è persona»
Dal convegno su “Italia ed Europa nel nuovo contesto mediterraneo”, promosso da Istituto Bachelet e Azione Cattolica italiana e svoltosi a Roma il 10 e 11 febbraio, sono emerse varie chiavi di lettura della “primavera araba” e del rapporto tra le sponde del mare nostrum. Ma su alcuni punti si è registrata una consonanza di fondo tra i vari esperti che hanno preso la parola. Franco Miano, presidente dell’Ac, che ha guidato i lavori assieme a Gian Candido De Martin, alla testa del “Bachelet”, ha insistito sulla prospettiva culturale e religiosa mediante la quale “leggere” gli accadimenti in corso in chiave geopolitica, antropologica ed etica. Per Miano la necessità di «un di più di accoglienza» verso i migranti che si affacciano alle rive europee trova una sorgente viva nel «principio saldo secondo cui ogni uomo è persona».
Il ministro per la cooperazione e l’integrazione, Andrea Riccardi, ha svolto un’articolata riflessione. «La primavera araba ha sorpreso tutti – ha sostenuto -. Negli ultimi dieci anni abbiamo guardato dalla parte sbagliata», «non ci siamo accorti della complessità di quel mondo e siamo rimasti spiazzati dai ragazzi tunisini o egiziani che, vincendo la paura, si sono battuti a mani nude» per la libertà e per la democrazia. «Giovani istruiti, con desiderio di futuro, hanno voluto essere protagonisti», nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, di «una specie di ’68 arabo». «I regimi sembravano infrangibili – ha affermato Riccardi -, ma hanno mostrato tutta la loro debolezza». Non tutte le rivoluzioni sono riuscite, ha ricordato il Ministro, soffermandosi sugli avvenimenti in corso in Siria. Ma le pressanti richieste di «libertà, dignità, lavoro e democrazia», registratasi nei mesi scorsi «interrogano anche l’Italia, l’Europa e la comunità internazionale». Dopo aver segnalato il ruolo delle comunità cristiane presenti in questi Paesi, spesso sottoposte a violenze ed emarginazione, Riccardi ha sostenuto che esse «costituiscono per tutti una garanzia di democrazia e di dialogo». Infine una riflessione sulle migrazioni verso le sponde europee: «La migrazione non è un’invasione – ha puntualizzato il ministro -, ma un fenomeno normale nel mondo globalizzato. Per affrontarla occorre però una politica di cooperazione, formazione, gestione coordinata dei flussi» con i Paesi di origine. «Noi italiani – ha concluso – dobbiamo assumerci la nostra parte di responsabilità» per l’accoglienza dei migranti, «ma su questa chiediamo la solidarietà europea».
Migrazioni e accoglienza
Numerosi gli esperti che si sono succeduti al tavolo dei relatori: padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica in Egitto; Joseph Mifsud, presidente dell’Università euromediterranea; l’islamista Khaled Fouad Allam; Giuseppe Cataldi, pro-rettore dell’Università “L’Orientale” di Napoli; monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes.
Varie le tematiche affrontate: il problema dei mutamenti in atto nella società e nella religione islamica, i pericoli che corrono le minoranze presenti in quest’area in fermento, le novità introdotte nella vita di questi Paesi da internet e dai social network, l’urgenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile. Sul nodo delle migrazioni si è soffermato monsignor Giancarlo Perego. «I dati ci dicono che ancora oggi 6 italiani sul 10 hanno paura del migrante, dello straniero. Occorre un cambio di passo e di strategie. Soprattutto guardando alle nuove generazioni. Innanzitutto sul piano culturale – ha affermato il responsabile di Migrantes -, creando occasioni di scambio e di reciproca conoscenza». Nelle scuole invece «è necessaria una maggiore attenzione alla dimensione interculturale e multiculturale che va connotando il nostro Paese». Ma, secondo Perego, servono nuove politiche che consentano di «condividere, anche in termini di attenzione alle famiglie migranti, il recupero della dignità umana e dei diritti», in Italia così come nei Paesi di provenienza, «dove spesso i diritti dei lavoratori sono calpestati e gli stipendi sono da fame». Ha poi lasciato un segno particolare la testimonianza di don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa, secondo cui l’isola «non è un posto di frontiera, semmai è il cuore del Mediterraneo», interpretandone le dinamiche di scambio e relazionali tra le sponde Nord e Sud, le differenze, i contrasti e le speranze. Don Nastasi ha raccontato delle tensioni presenti sull’isola, dell’esasperazione dei suoi parrocchiani, della disperazione dei migranti. «In questi anni – ha aggiunto – abbiamo vissuto, come lampedusani, esperienze forti, che ci hanno costretto a misurarci con un vangelo vivo e con il linguaggio della carità fraterna».