Giudizio negativo dell'agenzia americana Standard & Poor’s. A rischio il futuro del Paese, ora non c’è più tempo da perdere

Nicola SALVAGNIN

Ad usare metafore calcistiche, più che una retrocessione il declassamento del sistema-Italia deciso dall’agenzia di rating americana Standard & Poor’s è da considerarsi una penalizzazione di un paio di punti in campionato in corso. Recuperabile, volendo e potendo.

Riflette considerazioni oggettive (malgrado tutte le cure apprestate, il debito pubblico è in costante aumento) e soggettive: le manovre approntate dal governo per far fronte alla crisi di sfiducia che da fine luglio colpisce i nostri titoli di Stato, non sono molto piaciute né nella sostanza né nella forma. Non è stato deciso nulla di strutturale, capace quindi di invertire nel medio-lungo periodo la dinamica dei nostri conti pubblici. Da qui il peggioramento della valutazione del sistema-Italia, con prospettive negative per il futuro.

C’è chi – il governo e in particolare il suo leader – ha parlato di complotto internazionale manovrato da avversari interni. Di questa potenza occulta delle opposizioni, finora non se n’erano accorte neppure loro. Difficile immaginare una delle due maggiori agenzie di valutazione del rischio del mondo (l’altra è Moody’s) nei panni dell’uomo nero che trama per sovvertire l’attuale esecutivo.

Certo, se ha raccolto opinioni in giro tra l’estabilishment economico e finanziario italiano, una certa idea (negativa) se l’è fatta. A cominciare da una Emma Marcegaglia che, a nome degli industriali e non degli operai metalmeccanici, dichiara papale papale: «Riforme in poche ore o governo a casa, siamo stanchi di essere considerati lo zimbello internazionale». Non sembra un moto di stima verso l’esecutivo, a ben vedere.

Tornando al declassamento deciso da Standard & Poor’s, fa però un po’ rabbia che dalle stanze ovattate di qualche ufficio newyorkese si stabilisca la salute di uno Stato secondo criteri, lo si lasci dire, assai discutibili. S&P’s dice che, se non ci sarà crescita economica, saremo ulteriormente penalizzati nei giudizi. Grazie. E grazie pure per la richiesta di qualcosa che non sta riuscendo ad alcuna economia occidentale, proprio perché questi signori chiedono di congelare o ridurre i debiti pubblici, ma anche di far ripartire le economie per aumentare Pil e ricchezza.

Ci sarebbe molto da dire – ma non è l’occasione – sul feticcio del Pil, su una “crescita economica” che questa crisi finanziaria sta mettendo radicalmente in discussione quanto a qualità della stessa.

La ripresa economica comunque non si decide per decreto legge e si realizza all’istante, come il brodo solubile: ha bisogno anzitutto di una ritrovata fiducia complessiva (dei consumatori-risparmiatori, delle aziende per investire e assumere, degli investitori esteri, dei mercati in cui si vuole esportare) che non si materializza con la bacchetta magica. E certe politiche – come la lotta all’evasione fiscale, la vendita del patrimonio pubblico, la riorganizzazione degli enti locali – hanno per forza di cose la necessità di tempo per dare frutti. Che poi non si voglia dare tempo a chi di questo tempo non sta approfittando, come l’attuale governo, è altra questione che però sta pagando l’intero sistema-Italia.

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