Per Paola Ricci Sindoni «occorre un accompagnamento delle coppie in forte conflitto»

di Gigliola ALFARO
Sir

violenza donne

Le ultime due vittime di violenza sulle donne sono due sorelle: Olga e Franca. Sono state uccise ieri, vicino a Bordighera, da Santino Putrino, rispettivamente marito e cognato delle due donne. Olga si era rifugiata dalla sorella, per sfuggire alle continue violenze dell’uomo, che non ha sopportato la separazione. Dal 2000 al 2011 sono state 2.061 le donne ammazzate, 170 solo lo scorso anno. Sette su dieci sono state uccise da mariti, partner o ex mariti ed ex partner. Su queste tristi vicende di violenze sulle donne anche la Chiesa invita tutti, come ha fatto in questi giorni il vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato, mons. Luigi Ernesto Palletti, “a prendere sempre più coscienza di questo inaccettabile fenomeno perché non si debbano più ripetere fatti di violenza sulla donna, come quelli che, nell’anno ormai trascorso, hanno drammaticamente segnato la vita del nostro paese”. “In nessun modo infatti – ha aggiunto il presule – può essere messo in diretta correlazione qualunque deprecabile fenomeno di violenza sulle donne con qualsivoglia altra motivazione, né tantomeno tentare di darne una inconsistente giustificazione”. Intervista a Paola RicciSindoni, docente di filosofia morale all’Università di Messina.

Perché c’è tanta violenza sulle donne?
Molto dipende dal cambiamento, anche radicale, della relazione interpersonale tra uomo e donna, in un rapporto di tipo amoroso. Negli anni la donna ha ricercato una parità nell’incontro, un rispetto della propria differenza e una nuova modalità di rapportarsi all’uomo, che porta il segno di un’autonomia un po’ sofferta e che cerca una potenza che prima non aveva. Il cambiamento epocale della relazione uomo-donna, che è di carattere culturale e sociologico (la legge sul divorzio, l’aumento delle coppie di fatto, con relazioni più deboli sul piano sociale), ha prodotto l’incapacità di una comunicazione, ma soprattutto l’impotenza a soffrire le difficoltà delle relazioni, che sembrano ricadere soprattutto sull’uomo. Quando è in atto una crisi sembra non reggere più la capacità di ragionare con il partner e quando il conflitto diventa fortissimo l’unica arma che pare possibile è la separazione. L’uomo in genere lo ritiene intollerabile, è incapace di reagire a questo surplus di sofferenza. Tutto ciò genera un conflitto interiore insopportabile che porta in alcuni casi a questi episodi gravissimi di omicidio, seguiti spesso da tentativi di suicidio. Come si fa a rieducare l’uomo e la donna a soffrire nella relazione? Un tempo, c’era un atteggiamento diverso e anche quella che sembrava rassegnazione significava portare il peso di un conflitto che, una volta risolto, generava un legame più forte.

Lei non pensa che questi episodi di violenza sulle donne siano il riflesso di una cultura ancora profondamente maschilista?
Certamente c’è un maschilismo duro a morire, ma anche una frantumazione del potere maschilista, con la donna pronta a reagire e ad andarsene, che non viene accettata. Il maschilismo è un fenomeno che si è sedimentato nei secoli, mentre è solo il Novecento che segna la rivoluzione della “differenza”. Perciò, l’uomo ancora non riesce a maturare un nuovo stile nei rapporti. Ma c’è anche un altro aspetto che si aggiunge al fenomeno socio-culturale della difficoltà della relazione uomo-donna, reimpostata alla luce della post-modernità: siamo immersi in una cultura dell’individualismo, per cui nei conflitti latenti si preferisce gettare subito la spugna, soprattutto da parte delle donne più giovani, piuttosto che affrontare la fatica sana della relazione interpersonale. Anche questo è un frutto un po’ perverso della difficile stagione della post-modernità, in cui il primato del soggetto è prevalente sul noi.

Mons. Palletti, vescovo di La Spezia, riferendosi alla recente dichiarazione di un parroco sulla provocazione che le donne eserciterebbero nei confronti degli uomini per via di certi loro comportamenti, ha chiesto fermamente di non giustificare mai gli atti di violenza sulle donne. Quanto è importante che ci sia una condanna chiara di questi episodi da parte della società?
Come ethos diffuso c’è questa condanna verso tali atti, tranne qualche battuta infelice di qualcuno. Il problema è dal punto di vista giuridico: serve, innanzitutto, come deterrente, un aggravamento delle pene per un reato che giustamente viene chiamato femminicidio, per le caratteristiche di affetto morboso degenerato, che è diventato odio e annullamento dell’altra; poi occorre un accompagnamento delle coppie in forte conflitto, perché quasi sempre questi atti di violenza suprema sono preceduti da altri episodi. Difficilmente sono raptus incontrollati.

Il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, nell’omelia di Natale, oltre a condannare la violenza sulle donne, ha invitato a riscoprire il genio femminile per una convivenza più armonica e serena…
La nostra società tende, anche con fatica, a riportare quella parità che è stata negata nei secoli. Un segno estrinseco sono, ad esempio, le quote rosa in politica. Questo discorso vale anche per la Chiesa, nella quale si è spesso guardato più al femminile che alla donna concreta. La Chiesa adesso deve fare un passo in più, guardando alla concretezza delle capacità della donna.

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