Come uscire dalla crisi di credibilità che investe l’Italia? Risponde l’economista Stefano Zamagni
a cura di Francesco ROSSI
Ancora una bocciatura per l’Italia. Dopo il declassamento del rating da A+ ad A operato il 20 settembre da Standard & Poor’s, il 4 ottobre anche Moody’s si è allineata, facendo scendere di ben tre gradini, da Aa2 ad A2, l’Italia nella sua scala (laddove l’A2 è l’equivalente dell’A di S&P). Un ridimensionamento che allontana il nostro Paese dalla Spagna (ora in Aa2, ma è ancora sotto osservazione) e lo lascia al quint’ultimo posto in Eurolandia, davanti a Cipro, Irlanda, Portogallo e Grecia.
A determinare la decisione, secondo gli analisti dell’agenzia di rating, hanno contribuito principalmente tre fattori: la generale difficoltà di finanziamento sui mercati dei Paesi dell’area Euro, le scarse prospettive di crescita e le debolezze del sistema politico. Stefano Zamagni, economista e docente all’Università di Bologna, analizza le ragioni della bocciatura.
Dopo S&P, ora anche Moody’s ha rivisto in negativo il suo giudizio sull’Italia. Qual è il significato di questa decisione?
La notizia del declassamento operato da Moody’s non giunge nuova, fa seguito all’analoga decisione di Standard & Poor’s di fine settembre. Piuttosto, trascorse alcune settimane i mercati internazionali non hanno registrato novità di rilievo circa la possibilità del nostro Paese di uscire dalla crisi. Questo è l’aspetto veramente preoccupante: la diminuzione ulteriore, rispetto al recente passato, della fiducia nei nostri confronti. D’altra parte la “morta gora” in cui sta l’attività governativa in senso lato non permette di suscitare grandi speranze.
La responsabilità è dunque politica?
Personalmente sono ottimista circa la possibilità di ripresa del sistema Italia perché conosco le radici del nostro Paese, le matrici culturali, però va riconosciuto che oggi il vero peccato è l’omissione. Nessuno propone niente, si vive alla giornata in assenza di un piano strategico, con i vari ministri che vanno a ruota libera contro l’azione comune del proprio governo come se facessero a gara per destabilizzarlo – si pensi alle dichiarazioni di Tremonti su Spagna ed elezioni -; oggettivamente un investitore straniero che osserva questo scenario non può che dare una valutazione negativa.
Ma ci sono vie d’uscita?
Il paradosso è che i fondamentali dell’economia reale sono buoni, la struttura economico-produttiva del nostro Paese è solida, al contrario di Spagna e Grecia. L’Italia è il secondo esportatore d’Europa dopo la Germania e ha forze produttive che sono come un prometeo incatenato. Che non ci sia nessuno in grado di slegare questo prometeo e liberare le sue energie produttive è veramente paradossale!.
La parola-chiave che compare oggi tanto nelle dichiarazioni delle forze sociali quanto negli editoriali dei principali quotidiani è “credibilità”…
Le crisi possono essere di tre tipi: di liquidità, di solvibilità, di credibilità. Le prime due non sono il nostro caso – semmai è la Grecia a soffrire una crisi di solvibilità -, mentre è palese che viviamo una crisi di credibilità. Ecco perché dobbiamo reimmettere nel circuito nessi di fiducia, ricordando che “fiducia” deriva dal latino fides, che vuol dire corda. Qualcuno negli ultimi vent’anni ha tagliato le corde che univano le persone, i gruppi, le associazioni, i movimenti ecc. Dobbiamo riannodare quel tessuto sociale che c’è, anche se lacerato.
Il declassamento porterà a un restringimento del credito, e quindi ad ancora maggiori difficoltà per le imprese?
Ovviamente. Declassamento vuol dire che aumentano i tassi d’interesse, e quindi le imprese che prendono denaro a prestito dovranno sostenere oneri aggiuntivi. Quindi diminuiranno gli investimenti e ci saranno maggiori difficoltà di accesso al credito soprattutto per le piccole e medie imprese.