Le misure italiane e l’incessante speculazione sui mercati nell’analisi di Stefano Zamagni

a cura di Francesco ROSSI

Stefano Zamagni

Continua la speculazione nei mercati finanziari, mentre nei giorni scorsi l’Italia ha risposto alle richieste europee con un pacchetto di manovre, tra cui i “licenziamenti facili” e l’innalzamento dell’età pensionabile. Ecco l’opinione in proposito dell’economista Stefano Zamagni.

Le Borse sono ancora sotto assedio, la speculazione continua a colpire l’Italia e, secondo Bloomberg, la Banca centrale europea (Bce) ha acquistato debito italiano. Come giudica la situazione?
Il risultato odierno era da prevedersi, e c’erano già stati segnali venerdì scorso, alla chiusura della settimana borsistica. La speculazione è come un’idra dalle 100 teste; non basta tagliarne una per fermarla. Se le autorità di governo non prendono la decisione di bloccarla – per esempio chiudendo i mercati per qualche tempo – non ci sarà niente da fare. E anche gli acquisti della Bce non fanno che indebolire la situazione: non possono andare avanti in eterno, c’è un limite e la speculazione attende proprio che vi si arrivi per l’attacco finale. Il fondo salva-Stati doveva essere utilizzato per situazioni d’emergenza, mentre ora viene usato giorno dopo giorno. L’avidità divoratrice che alimenta la speculazione sta distruggendo tutto: è ora di non tollerarla più adottando misure drastiche come la sospensione delle contrattazioni.

Il Fondo monetario internazionale sta pensando a una revisione dei suoi strumenti finanziari, una specie di nuovo piano Marshall per i Paesi più colpiti. È una strada percorribile e, soprattutto, con possibilità di successo?
Sì, i Paesi leader possono far tutto, purché vi sia il consenso di Europa e Usa: è nel loro potere. Ricordiamo che i guai sono nati da una decisione politica che ha portato alla liberalizzazione del mercato dei capitali, come l’abolizione dello Steagall act da parte di Clinton nel 1999. Era la legge che teneva separata l’attività speculativa da quella commerciale delle banche. Questa fu una gravissima responsabilità politica, che ha dato il via libera alla produzione dei derivati e alla speculazione. Oggi, dunque, è dovere della politica aggiustare la situazione.

Venendo all’Italia, nel pacchetto di misure proposte nei giorni scorsi vi è la riforma del mercato del lavoro con i cosiddetti “licenziamenti facili”. Che ne pensa?
L’intenzione del Governo è, di per sé, buona: si cerca di facilitare la fuoriuscita dei lavoratori dalle imprese in difficoltà per aumentare l’occupazione. Però, come c’insegna la teologia morale cattolica, non bastano le buone intenzioni perché l’azione sia complessivamente buona: serve piuttosto che sia buono anche il risultato. Ma il risultato di tale manovra è un aumento del conflitto sociale. Quando si fa una proposta politica bisogna tener conto delle forze in atto, tra cui ci sono anche i sindacati, e questo provvedimento non fa che esasperare i toni. Inoltre così non aumenterà l’occupazione: le imprese riducono il lavoro perché non riescono a gareggiare, a essere competitive. Bisogna quindi favorire un aumento della produttività, e ciò non si ottiene affatto esasperando i lavoratori. Tant’è che le imprese di successo sono tali perché vi è un’alleanza tra imprenditori e lavoratori. È una deformazione anacronistica pensare che l’impresa si governi con il bastone e la carota, e lo hanno recentemente ribadito pure il Papa e il cardinale Bagnasco, ricordando in più circostanze il primato del lavoro sul capitale”.

Altra proposta controversa è l’innalzamento dell’età pensionistica a 67 anni…
L’aumento dell’età per andare in pensione è un atto dovuto, legato all’innalzamento dell’aspettativa di vita, per cui i contributi versati negli anni di lavoro non sono più sufficienti a pagarsi la pensione. Piuttosto il problema sta nel gestire la transizione: per esempio, è una grave ingiustizia mandare in pensione alla stessa età chi ha generato dei figli e chi non ne ha avuti. Sono tutti provvedimenti, in fin dei conti, nei quali chi ci rimette è la famiglia.

Queste proposte sono state fermamente contestate dai sindacati. Ma oggi loro che funzione hanno?
Il ruolo del sindacato è ancora oggi fondamentale, però si limita a difendere chi ha già il lavoro. Piuttosto, la sua funzione sarebbe ancora più rilevante se si facesse carico delle innovazioni sociali e non si limitasse a tutelare gli interessi dei propri rappresentati, bensì pensasse pure a chi non ha lavoro. Come all’impresa si chiede di esercitare una responsabilità sociale verso l’intera società, così pure al sindacato va chiesto di essere responsabile per l’intera società, facendosi carico delle nuove emergenze e necessità sociali.

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