L’ambivalenza di Vladimir Putin: moderato nella politica internazionale e spregiudicato in quella interna
di Riccardo MORO
«A Mosca, a Mosca!», anelano le Tre sorelle di Cechov, perdendosi nel sogno e nella memoria di una vita cittadina completamente diversa da quella soffocante della campagna cui sono costrette. Cento anni dopo la Russia è certo cambiata, ma alcune sue caratteristiche rimangono e fra queste la grande distanza tra le grandi città – prime fra tutti Mosca e San Pietroburgo – e la sterminata campagna del Paese più grande del mondo. Proprio questa distanza sembra aver caratterizzato le elezioni che hanno riportato Putin alla presidenza. Se nelle città abbiamo visto un fermento nuovo, con la presenza, per la prima volta, di manifestazioni di protesta contro il regime e in particolare contro Putin, nelle campagne il fermento cittadino non è arrivato, se non in modo estremamente rarefatto. E la campagna, la grande pancia del grande Paese, ha votato ancora una volta per l’uomo forte.
Putin ha già svolto due mandati da presidente, quindi per rispetto formale della Costituzione ha proposto il suo uomo Medvedev alla presidenza, facendosi nominare capo del Governo. Ora si è ricandidato alla presidenza e ha vinto. I democratici rimangono interdetti, parlano di occupazione del potere e lesione di fatto della democrazia. Accusano il potere di avere monopolizzato la stampa e di avere ottenuto il successo grazie a questo. In Russia in effetti la libertà di stampa è minacciata. I giornalisti più liberi hanno paura, a volte pagano con la vita, come è successo con Anna Politkovskaja. Nelle zone rurali più che i giornali arriva la televisione pubblica, diligentemente sintonizzata sulle sensibilità del governo. Un dato interessante è quello delle connessioni internet, molto diffuse in città, ma ancora rare nelle zone rurali, soprattutto in quelle più remote.
Un anno fa in Tunisia ed Egitto è cambiato il mondo grazie a una mobilitazione popolare alimentata dalle comunicazioni trasmesse attraverso le nuove tecnologie. Durante i mesi scorsi nelle grandi città russe si è sviluppato un movimento dei “nastrini bianchi”, un’azione di protesta che ha portato in piazza migliaia di persone, un fenomeno che non si era mai visto in passato, né durante la dittatura comunista, né successivamente. Come per la “Primavera Araba”, anche in questo caso il movimento ha utilizzato la Rete per diffondere non solo gli appuntamenti dimostrativi, ma tutte le notizie relative alle richieste del movimento e alle reazioni del governo e delle forze dell’ordine durante le manifestazioni. Tutto questo per le grandi campagne all’interno del Paese, dove le connessioni internet sono rarefatte e la tv pubblica non ha raccontato gli eventi, semplicemente non è avvenuto. La maggior parte della Russia rurale non ha saputo e conseguentemente ha votato. I primi exit poll sembrano confermare che il voto è stato più equilibrato in città e molto più favorevole a Putin nelle campagne. Ancora una volta la Rete, con la sua libertà e spontaneità, sembra aver contato.
Il sistema Putin non si fonda solo su un controllo almeno indiretto degli strumenti di comunicazione. Di fatto in questi anni ha amministrato una rete di potere che connette il mondo dei nuovi imprenditori, che vivono soprattutto di grandi concessioni pubbliche, con quello dei militari, si avvantaggia del prezzo del petrolio e allontana con qualunque mezzo chi non è in sintonia. Il caso Khodorkovsky è esemplare da questo punto di vista: un potenziale oppositore che ha grande successo economico (e dunque può finanziare l’opposizione) viene fatto mettere in carcere con accuse costruite e sistematiche violazioni dei suoi diritti, come ha certificato la Corte europea di giustizia. Non stupisce che, nonostante una pubblicitaria operazione verità, con l’installazione di webcam in molti seggi a seguire le operazioni di voto, in queste ore si stiano raccogliendo numerose denunce di brogli. Il potere ha bisogno di presentarsi internazionalmente democratico, ma non ha alcuna intenzione di permettere cambiamenti reali.
L’affermazione di Putin era prevista. Ci si chiedeva se l’equilibrio instabile tra potere e trasparenza avrebbe portato al ballottaggio o avrebbe dato al nuovo zar la vittoria al primo turno. Il dato ufficiale parla di una vittoria al primo turno, ma con un calo di circa il 10% dei consensi rispetto alle affermazioni precedenti. In qualunque modo la si voglia osservare, la politica russa è avvelenata e mostra come la democrazia formale possa essere aggirata. In qualche maniera la Russia mostra, estremizzandoli, gli esiti delle tentazioni vissute da alcune delle grandi democrazie moderne: la magistratura sottomessa all’esecutivo, i beauty contest, cioè le grandi concessioni pubbliche distribuite alle imprese più gradite, una concentrazione dell’informazione. È bene esserne consapevoli, per capire in che cosa anche le nostre democrazie vanno rafforzate.
Guardando al futuro, vivremo ancora per qualche anno un rapporto contraddittorio con la Russia, che si proporrà moderata nella politica internazionale e spregiudicata in quella interna. Poi, forse, la grande campagna più “connessa” farà definitivamente cambiare gli equilibri.