La presentazione del Dossier statistico nazionale curato da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. Gli stranieri superano di poco i 5 milioni, tra 50 anni saranno 14 milioni. Aumentano i lavoratori e gli imprenditori, quasi 80 mila i nuovi nati
L’Italia è un Paese di immigrati. Siamo a quota 5 milioni: uno su dodici residenti nella penisola. È uno dei dati della ventiduesima edizione del Dossier statistico immigrazione di Caritas e Migrantes, realizzato dalla cooperativa Idos, presentato oggi a Roma, in contemporanea con altri capoluoghi di regione. Il messaggio che il Dossier ha scelto per il 2012 è “Non sono numeri”. Si è voluto così ridare centralità alla dignità degli immigrati in quanto persone.
Terra d’asilo
Nel 2011 sono state 42,5 milioni le persone costrette alla fuga in altri Paesi, di cui 15,2 milioni i rifugiati e 26,4 gli sfollati interni. Nello stesso anno sono state presentate 895mila domande di asilo: di esse, 277mila sono state presentate nell’Ue, con 51mila casi in Francia (primo Paese) e 37.350 in Italia. Nel nostro Paese, dal 1950 al 1989 sono state 188mila le domande d’asilo e dal 1990 (anno di abolizione della riserva geografica) fino al 2011 se ne sono aggiunte circa 326mila (archivio del ministero dell’Interno) per un totale, dal dopoguerra ad oggi, di oltre mezzo milione. Nel 2011 le domande sono state presentate in prevalenza da persone provenienti dall’Europa dell’Est e dal martoriato continente africano; quasi un terzo (30%) delle domande prese in esame (24.150) è stato definito positivamente. Gli sbarchi dal Nord Africa, confluiti per lo più nell’isola di Lampedusa, hanno coinvolto circa 60mila persone, in partenza prima dalla Tunisia e poi dalla Libia (28mila).
Presenza e aree di origine
Il Dossier ha stimato che il numero complessivo degli immigrati regolari, inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagrafe, abbia di poco superato i 5 milioni di persone alla fine del 2011. Nel 2011 il ministero degli Affari esteri ha rilasciato 231.750 visti per inserimento stabile, in prevalenza per motivi di lavoro e di famiglia, mentre sono stati circa 263mila i permessi di soggiorno validi alla fine del 2010 che, dopo essere scaduti, non sono risultati rinnovati alla fine del 2011. I permessi di soggiorno in vigore alla fine dell’anno, inclusi i minori iscritti sul titolo dei genitori e al netto dei casi di doppia registrazione (archivio del ministero dell’Interno revisionato dall’Istat), sono stati 3.637.724. Da questa base si è partiti per elaborare la stima del Dossier e quantificare, anche con il supporto di altri archivi, la consistenza degli immigrati comunitari che non sono più inclusi nell’archivio dei permessi di soggiorno. Il numero stimato dei comunitari (1.373.000, per l’87% provenienti dai nuovi 12 Stati membri) è stato ottenuto applicando ai residenti a fine 2010 lo stesso tasso d’aumento riscontrato tra i soggiornanti non comunitari nel 2011. I principali Paesi di origine sono risultati: Romania 997 mila, Polonia 112 mila, Bulgaria 53 mila, Germania 44 mila, Francia 34 mila, Gran Bretagna 30 mila, Spagna 20 mila e Paesi Bassi 9 mila. La ripartizione della stima totale per aree continentali vede prevalere l’Europa, tra comunitari (27,4%) e non comunitari (23,4%), seguita dall’Africa (22,1%, marocchini in testa con 506.369 soggiornanti ), dall’Asia (18,8%) e dall’America (8,3%), mentre le poche migliaia di persone provenienti dall’Oceania e gli apolidi non raggiungono neppure lo 0,1%.
Le nuove generazioni
Quasi 80 mila i figli di stranieri nati in Italia nel 2011. Dal 2002 il numero è in continuo aumento, anche se negli ultimi anni la crescita è sempre più contenuta. Gli studenti di origine straniera iscritti all’anno scolastico 2011-2012 sono oltre 755.939. Gli stranieri iscritti nelle università italiane nel 2011/2012 sono 65.437: i più numerosi sono gli albanesi, aumentano cinesi e romeni. Minori non accompagnati, otre 600 arrivati via mare nel 2012. Nei primi mesi 6 dell’anno il totale dei migranti arrivati sulle coste italiane è di 4.455, il 14%o sono ragazzi soli.
Mondo del lavoro
In Italia la grave crisi ancora in corso tra il 2007 e il 2011 ha provocato la perdita di un milione di posti di lavoro, in parte compensati da 750 mila assunzioni di stranieri in settori e mansioni non ambiti dagli italiani. Anche nel 2011 gli occupati nati all’estero sono aumentati di 170 mila. Attualmente gli occupati stranieri sono circa 2,5 milioni e rappresentano un decimo dell’occupazione totale. Nello stesso tempo tra gli stranieri è aumentato il numero dei disoccupati (310 mila, di cui 99mila comunitari) e il tasso di disoccupazione (12,1%, quattro punti più in più rispetto alla media degli italiani), mentre il tasso di attività è sceso al 70,9% (9,5 punti più elevato che tra gli italiani). Gli immigrati sono concentrati nelle fasce più basse del mercato del lavoro e, ad esempio, mentre tra gli italiani gli operai sono il 40%, la quota sale all’83% tra gli immigrati comunitari e al 90% tra quelli non comunitari. Motivati dal bisogno di tutela, sono oltre 1 milione gli immigrati iscritti ai sindacati, con una incidenza dell’8% sul totale dei sindacalizzati e del 14,8% sulla sola componente attiva.
Anche il settore agricolo, scarsamente attrattivo nei confronti degli italiani, per molti immigrati costituisce una prospettiva di inserimento stabile (allevamenti e serre) o un’opportunità limitata a determinati periodi dell’anno (lavoro stagionale) o quanto meno al momento dell’ingresso, al punto che l’agricoltura è stato il solo settore ad aver registrato, per gli immigrati, un saldo occupazionale positivo. Altri settori per i quali il contributo degli immigrati continua a risultare fondamentale sono l’edilizia, i trasporti e, in generale, i lavori a forte manovalanza: dai dati messi a disposizione dalle organizzazioni delle cooperative, risulta che gli immigrati incidono per oltre un sesto nelle cooperative di pulizie e per oltre un terzo in quelle che si occupano della movimentazione merci.
Crescono gli imprenditori: nel 2011 sono aumentati di 21 mila unità, arrivando a 249.464. Per la metà sono artigiani. I Paesi di provenienza: Marocco, Romania, Cina e Albania.
Oltre 14 milioni nel 2065
Nel 2065 la popolazione complessiva (61,3 milioni di residenti) sarà l’esito di una diminuzione degli italiani di 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite e 40 milioni di decessi) e di un saldo positivo di 12 milioni delle migrazioni con l’estero (17,9 milioni di ingressi contro 5,9 milioni di uscite): in questo nuovo scenario demografico gli stranieri supereranno i 14 milioni.
Un bisogno reciproco
«Per circa vent’anni – spiega Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università degli Studi di Milano e membro del comitato scientifico del Dossier – la principale motivazione per l’accoglienza degli immigrati nel nostro Paese ha fatto riferimento ai fabbisogni del mercato del lavoro: gli immigrati venivano a raccogliere i lavori che gli italiani non intendevano più svolgere. In tempi di crisi, questa motivazione sembra vacillare e alcuni reclamano ad alta voce politiche di rimpatrio dei lavoratori non più necessari. Altri sostengono che i flussi si sono invertiti e molti immigrati starebbero mestamente rientrando in patria. Altri ancora agitano lo spettro di una guerra tra poveri, contrapponendo disoccupati italiani e lavoratori stranieri». «Il Dossier illustra invece come gli immigrati si inseriscono nella complessità del mercato del lavoro italiano – prosegue Ambrosini -. Approfondisce alcuni casi emblematici, in cui il lavoro degli immigrati è diventato imprescindibile: anzitutto, il settore domestico e familiare, poi il settore infermieristico. Gli immigrati non si limitano tuttavia a tappare i buchi: anche quest’anno infatti è cresciuta la loro partecipazione alle attività indipendenti, in controtendenza rispetto all’imprenditoria nazionale. Infine gli immigrati rappresentano una risorsa, più che un onere, anche per le esauste casse dello Stato sociale. Benché i ricongiungimenti familiari e le nuove nascite accrescano i costi per la collettività, la loro età mediamente giovane, le buone condizioni di salute e l’elevata partecipazione al lavoro ne fanno dei contribuenti che versano in tasse e oneri sociali più di quanto ricevono. Comprendono pochi pensionati, pochi invalidi, pochi ammalati. Anche da questo punto di vista, noi abbiamo bisogno di loro almeno quanto loro hanno bisogno di noi».