All’Auditorium Giorgio Gaber di Milano monsignor Georges Abou Khazen, francescano e vicario apostolico, porterà la sua testimonianza sulla città siriana contesa tra forze governative, ribelli e Isis. Introduzione di monsignor Bressan
Una Porta Santa tra le macerie di una guerra. È quella aperta il 13 dicembre scorso, all’inizio del Giubileo straordinario, nella parrocchia di San Francesco ad Aleppo, un tempo la città più popolosa della Siria con circa 4 milioni di abitanti e capitale economica del Paese, dal 2012 al centro di aspri combattimenti tra l’esercito regolare del presidente Assad, i ribelli e i miliziani dell’Isis, che hanno ridotto la popolazione a circa 1,9 milioni di persone.
Una situazione drammatica che è valsa ad Aleppo la definizione di «Sarajevo del XXI secolo» e sulla quale monsignor Georges Abou Khazen, francescano e vicario apostolico, porterà la sua testimonianza nell’incontro in programma martedì 26 aprile, alle 21, nell’Auditorium Giorgio Gaber di Milano (piazza Duca d’Aosta 3). L’incontro, dal titolo «Siria la terra contesa. La speranza che vive ad Aleppo», è promosso dal Centro culturale di Milano col patrocinio dell’Arcidiocesi e del Consiglio regionale della Lombardia; sarà introdotto dal saluto di monsignor Luca Bressan, vicario episcopale, e sarà moderato dal giornalista Giorgio Paolucci (ingresso libero, info e prenotazioni: tel. 02.86455162; www.centroculturaledimilano.it).
Abou Khazen viene a Milano a raccontare e a chiedere aiuto: «L’Europa sta facendo molto, ma il nostro Paese si sta svuotando delle energie migliori: se ne sono andati 35 mila medici, se ne vanno i giovani, gli studenti universitari. Stiamo perdendo il futuro. Aiutateci a restare nella nostra terra». Parlerà della tragedia dei cristiani: prima dell’inizio delle ostilità, la comunità era formata da poco meno di 200 mila membri; negli ultimi mesi si è più che dimezzata, attestandosi intorno alle 90 mila unità, concentrate nelle zone rimaste sotto il controllo delle forze governative; la metà delle 30 chiese attive un tempo sono oggi distrutte o inaccessibili. Ancora agibile e diventata un rifugio per molti fedeli è la parrocchia di San Francesco, malgrado alla fine di ottobre sia stata centrata da una granata sparata dai ribelli, che fortunatamente è esplosa prima di sfondare il tetto, squarciando la cupola, ma ferendo solo sette persone in modo non grave.
Ciononostante, i cristiani resistono alle bombe, alle violenze e all’avanzata dell’Isis, con una forza e una disponibilità al martirio incarnate dalla consapevolezza espressa dal vicario: «Se la nostra terra e il Medio Oriente verranno svuotati dalla presenza cristiana, sarà un impoverimento per tutti. Ne sono convinti anche tanti musulmani con i quali stiamo condividendo questa tragedia. Sappiamo per esperienza che Dio vuole il nostro bene e noi ci consegniamo alla sua volontà».
E ancora: «Questa guerra la vinceremo con la preghiera, la carità, la solidarietà tra di noi e la misericordia – rilevava Abou Khazen in una recente intervista -. L’Anno della Misericordia deve servire ai cristiani per ricostruire quelle tessere di convivenza e di amicizia che componevano il ricco mosaico siriano, composto da 23 diversi gruppi etnici e religiosi. La misericordia può essere il collante giusto per riconciliare il Paese». E nella devastazione spuntano quali piccoli miracoli opere come la mensa organizzata da congregazioni religiose (gesuiti, maristi, suore di Madre Teresa e francescane), sostenuta economicamente anche da benefattori musulmani. Un segno di fraternità che tiene accesa la speranza di poter continuare a vivere insieme.