Nazionalismo ed “esterofobia” mettono a rischio lo Stato di diritto
di Gianni BORSA
Sir Europa (Bruxelles)
Segnali ricorrenti mettono in guardia rispetto alla tenuta della democrazia in Europa. Senza inutili allarmismi – in nessun Paese dell’Unione europea le Costituzioni e lo Stato di diritto possono essere oggi considerati realmente in pericolo -, occorre tener desta la guardia rispetto alle involuzioni delle opinioni pubbliche, al risorgere dei nazionalismi politici, alle barriere che si ergono tra i popoli e persino all’interno dei confini nazionali. E bisogna anche vigilare affinché i singoli “pilastri” dei sistemi democratici moderni – il “governo in nome dei cittadini”, il rispetto dei diritti fondamentali, l’indipendenza della magistratura, la libertà di espressione, le pacifiche relazioni con gli altri Stati… – non siano minati alla loro base, per evitare il crollo dell’intero edificio democratico.
Anche di questo si discute, e da tempo, nelle sedi istituzionali dell’Ue e nelle capitali dei Paesi aderenti. Temi che ricorrono in queste stesse ore nella campagna elettorale in Francia, dove gli elettori saranno chiamati alle urne il 22 aprile per scegliere il Presidente della Repubblica (l’eventuale secondo turno di ballottaggio si svolgerà il 6 maggio). Si tratta di argomenti rilanciati nei Parlamenti e sui media in Germania e in Italia (qui con all’aggiunta del problema della corruzione e del degrado cui sembrano essere giunti alcuni partiti).
Un mix di populismo, sciovinismo, esterofobia sta peraltro toccando realtà dove non aveva mai costituito un problema: è quanto sperimentano nazioni come la Finlandia, l’Austria, i Paesi Bassi. Mentre in altre realtà esso si sta accentuando: vale in particolare le repubbliche baltiche e, a maggior ragione, nei Paesi di prossima adesione come la Croazia e in quelli aspiranti all’adesione, prima fra tutti la Turchia, seguita dall’intera regione balcanica.
Diversi casi recenti – peraltro sempre da verificare, perché talvolta alimentati ad arte dalle diverse fazioni politiche e dai mass media – sono stati rilevati all’interno dei confini Ue e hanno riportato il problema sotto i riflettori. Il primo, e più noto, di tali casi riguarda l’Ungheria, con il percorso di rafforzamento del potere esecutivo operato dal premier Viktor Orban. Altrettante preoccupazioni stanno attraversando la Slovenia (pressioni sulla giustizia da parte del neo premier Janez Janša) e la Romania (discesa in campo di Dan Diaconescu, patron di una emittente televisiva di successo, con il suo Partito del popolo).
Infine – e come dimenticarlo? – la democrazia è messa a dura prova fra i vicini di casa dell’Europa, a partire dalla Russia, per giungere in Ucraina e in Bielorussia (qui vige un vero e proprio regime), scendendo fino al Medio Oriente e ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove la “primavera araba” ha portato un soffio di aria nuova, ha contribuito ad abbattere feroci dittatori, ma dove il concetto pieno di democrazia è tutto da realizzare.
Ecco perché non è un “lusso” tornare a parlare di democrazia, a operare per difenderla laddove essa vige, per instaurarla alle latitudini in cui non è ancora affermata. E l’Europa, giustamente ritenuta un “crogiolo della democrazia”, deve costantemente operare affinché essa viva, si rafforzi e si diffonda nel mondo.