Intervista al ministro Ornaghi che parla della crisi del progetto comunitario e invita a un nuovo impegno

di Gianni BORSA

Lorenzo Ornaghi

«È un grande momento di riflessione in Europa» e «si potrebbe forse aprire una nuova fase costituente» per l’integrazione comunitaria, «anche alla luce della situazione attuale». Un posto speciale in questa direzione «spetta alla cultura». Lorenzo Ornaghi, ministro per i Beni e le Attività culturali del governo Monti, analizza lo stallo in cui si trova l’Unione europea, ne sottolinea gli aspetti maggiormente problematici, ma al contempo spiega che c’è bisogno dell’Europa. Di una unione fondata su valori condivisi e nella quale i credenti «portino un loro originale contributo».

È così profonda, come sembra, la crisi del progetto europeo?
Sì, siamo dinanzi a una crisi sistemica, che tocca gli stessi pilastri dell’Europa. Riguarda l’economia, ma altrettanto profondamente coinvolge la cultura, la politica, le opinioni pubbliche. E assistiamo, proprio in relazione a questa crisi, al riemergere dei nazionalismi, mentre il vento dell’antipolitica soffia forte. E potrebbe crescere ancora. 

A quali fattori è dovuta?
Si tratta di un convergere di elementi. Mi pare necessario però sottolineare la crescente divaricazione che riscontriamo tra politica e cittadini e quella, altrettanto problematica, fra strumenti di governo nazionali ed europei. Le dinamiche globali hanno bisogno di nuovi strumenti di democrazia: quelli nazionali non bastano più, quelli comunitari non sono ancora adeguatamente definiti e operanti. Potremmo dire che la crisi del progetto europeo ha due dimensioni principali: quella della governabilità, alla quale si risponde con una innovazione profonda del sistema politico e istituzionale, e quella della rappresentatività. In questo secondo piano riscontriamo la distanza tra cittadini e istituzioni, i partiti politici sono in affanno, la politica è autoreferenziale. E sullo scenario europeo citerei il nodo della cultura politica.

In che senso?
Potremmo sostenere che le culture politiche nazionali non sono riuscite per ora ad alimentare e far crescere una cultura politica di respiro europeo. Ad esempio, il dibattito che si è avuto sulle radici dell’Europa, anche sulle radici cristiane, è stato un’occasione persa perché, se ulteriormente approfondito, avrebbe consentito una più aperta e articolata visione non solo sul passato, ma anche sul presente e sul futuro d’Europa. Perché l’Europa non è un’idea del passato, e non può essere ridotta alla sola dimensione economica. Dall’Europa oggi potrebbe passare un’azione più decisa e orientata al bene comune. Viste le grandi decisioni che attendono l’Ue e i suoi Stati membri nel prossimo autunno, spero che questo dibattito finalmente decolli.

Quando parla – come ha fatto ancora di recente – di apporto culturale per rafforzare il cammino verso la “casa comune”, cosa intende più precisamente?
Mi pare che l’elaborazione nelle università, nella pubblicistica, sui mass media, in relazione ai temi connessi con la costruzione europea non abbia sufficientemente arricchito il dibattito pubblico. Le idee, i progetti per il bene comune europeo, devono entrare nello spazio politico, alimentando visioni alte, valori, atteggiamenti e soluzioni all’altezza dei problemi di oggi.

Si torna a ragionare sulla “economia sociale di mercato”, tema rilanciato di recente anche da un ampio documento della Commissione degli episcopati della Comunità europea. Lei cosa ne pensa?
L’economia sociale di mercato non è solo uno strumento, non è un insieme di scelte tecniche. È – per così dire -uno stile di vita perché ispirato da valori quali la sussidiarietà, la solidarietà, la responsabilità. Se ne può ben comprendere l’attualità proprio alla luce degli impegni che l’Unione deve affrontare in questa fase e dei problemi sociali legati alla crisi.

I nazionalismi costituiscono una minaccia reale per l’Europa?
I nazionalismi e i populismi tendono ad alimentarsi e a propagarsi nei momenti di profonda e perdurante crisi. Si configurano anche come forme autoprotettive e, in un certo senso, se ne possono comprendere le ragioni. Vi si fa fronte con una politica che si dimostri efficace nel rispondere alle esigenze più vere delle persone, delle famiglie, della società.

I cristiani possono, in questo contesto, portare un loro specifico e originale contributo alla “casa comune”?
I cristiani sono un valore aggiunto. Già ora, in differenti e molteplici occasioni cercano di delineare un domani possibile per l’Europa. Cito solo la settimana sociale europea oppure il progetto culturale della Chiesa italiana. Essi devono però al contempo spendersi affinché queste tesi entrino nel vivo della cultura continentale e attrezzarsi per un impegno coerente nelle istituzioni politiche.

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