Meno profittevoli e quindi più ricattabili i corpi delle vittime di tratta ai tempi del Covid. Il 70% chiede aiuti alimentari. I dati dell’unità di strada Avenida della Caritas Ambrosiana

PROSTITUZIONE

Quando è scattato il coprifuoco e le strade si sono svuotate, S. non è più riuscita a pagare l’affitto. Così a un certo punto ha ceduto alla proposta di un suo cliente storico e si è trasferita da lui. Presto i suoi timori hanno trovato conferma. Le richieste di prestazioni sessuali in cambio dell’ospitalità si sono fatte sempre più insistenti. Quanti favori e di quale tipo fossero necessari a ripagare il debito non era stato stabilito. La sola cosa certa è che non si poteva dire di no. Così alle minacce sono seguite le violenze fisiche. Schiaffi, pugni e calci. Fino a che la situazione è diventata intollerabile e S. ha scelto di andarsene a vivere in una tenda sotto il cavalcavia.

Quando l’aveva fatta arrivare in Italia dalla Romania, K. pensava di farci parecchi soldi e di sistemarsi, ma ora che la pandemia ha ridotto il giro di affari, J. è diventata solo un peso di cui è bene disfarsi il prima possibile. Per questo da mesi K. l’ha rimessa sul “mercato”. Peccato però che non ha trovato nessun altro disposto a prendersela e farla lavorare. Così è stato costretto a tenersela al campo. J. può rimanere. Per ora. Ma come procurarsi cibo e vestiti sono affari suoi. Così J. per sopravvivere va in parrocchia a prendere il pacco viveri. Anche il giaccone per l’inverno glielo ha passato la volontaria del guardaroba dei poveri.

Più vulnerabili

Dai racconti, raccolti al telefono, via whatsapp, tramite video-chiamate, dalle operatrici e dagli operatori dell’unità di strada Avenida della Caritas Ambrosiana emerge quanto le donne e le trans costrette a vendersi sulle strade di Milano siano diventate in questi mesi sempre più vulnerabili e ricattabili e quindi subiscano violenze e abusi ancora maggiori che nel passato.

Allo stato di schiavitù in cui sono tenute, che comprime se non annulla la loro libertà di avere relazioni al di fuori dell’ambiente che le tiene sotto scacco, si è aggiunto anche un livello di miseria materiale che non ha precedenti. Al punto che la gran parte di loro (il 70%) è dovuta ricorrere a forme di aiuto, come quello alimentare, di cui non aveva avuto bisogno prima.

Vittime “invisibili”

«Il Coronavirus ha accelerato un processo che era in corso da tempo: la prostituzione si è ancora di più spostata dalla strada all’indoor e all’online, fenomeno che di per sé rende le vittime ancora più invisibili, difficilmente avvicinabili se non dai clienti e sfruttatori, e quindi più sole – osserva suor Claudia Biondi, responsabile dell’area tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana –. Ma è successa anche un’altra cosa. Una parte di loro, quella più povera e meno attrezzata, sfruttata da sedicenti “fidanzati”, che operano in proprio o affiliati a micro gruppi criminali poco organizzati, non è riuscita ad adattarsi al cambiamento e oggi vive in condizioni di emarginazione ancora maggior che nel passato». È quanto accade, in particolare, tra i membri della comunità rumena, da anni la principale nazionalità delle donne che Caritas Ambrosiana intercettata in strada che conferma il suo primato anche nel 2020 con il 53% di presenze.

La provenienza

Proprio la mappa dei Paesi di provenienza è l’altro dato che denuncia il cambiamento in corso. Continua, in particolare, il calo delle nigeriane (17%), la terza nazionalità dopo quella albanese (21%). Con la diminuzione degli sbarchi sulle coste italiane dal 2018 in poi, la presenza sulle strade di Milano delle donne provenienti dal paese africano è andata diminuendo. Diverse fonti e l’osservazione degli operatori umanitari sul campo, con cui Caritas Ambrosiana è in contatto, sostengono che le donne che non sono riuscite ad attraversare il Mediterraneo sono rimaste prigioniere nei campi di detenzione libici e lì, per sopravvivere e sperare di raccogliere i soldi sufficienti a continuare il viaggio, si offrono ai loro stessi carcerieri. Nel frattempo, inoltre, la mafia nigeriana, molto strutturata e capace di controllare insieme alla tratta anche il traffico di droga, ha riorganizzato i flussi.  Da quando la rotta mediterranea si è interrotta, i clan malavitosi hanno trovato più conveniente orientare le donne, in genere reclutate nei villaggi rurali dello stato di Edo, verso gli altri paesi subsahariani. In particolare uno sbocco che è risultato molto profittevole è stato il Niger dove le ragazze vengono costrette a vendersi agli uomini impegnati nell’estrazione dell’oro nelle miniere. 

Il Covid non ferma la domanda

Quello che non è cambiato è stata la domanda. La richiesta di sesso a pagamento non si è mai fermata e vince anche la paura del contagio come emerge dalla continua azione di monitoraggio che le operatrici di Avenida fanno costantemente sui forum in rete dei clienti. «Anche nei mesi più duri della pandemia, quando a Bergamo sfilavano i camion dell’esercito con le casse dei defunti che non potevano essere seppelliti nel cimitero cittadino, non abbiamo mai sentito nessuno preoccuparsi di esporre al contagio se stessi, le proprie mogli e familiari, le stesse donne con le quali andavano. In cima ai pensieri dei clienti c’era piuttosto, cinicamente, il timore che le donne potessero aumentare il prezzo per rifarsi dei mancati guadagni», osserva Nadia Folli, dell’unità di strada Avenida.

«Da un lato serve un sussulto di coscienza da parte dei clienti: non è possibile ridurre quelle donne a dei corpi senza anima, sentimenti, paure, bisogna imparare a guardare il dramma che c’è dietro le loro storie – osserva Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana -. Dall’altro, se si vuole davvero sottrarre le vittime di tratta a chi le sfrutta, non è sufficiente offrire loro accoglienza, ma reali opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. La crisi sociale che si è aperta con la pandemia non può essere un alibi per dimenticarsi degli ultimi, ma al contrario deve essere un’occasione per ripartire da loro».

L’attività di Avenida nel 2020

48 uscite in strada (metà delle uscite rispetto agli anni precedenti)
400 contatti totali in strada
Circa 200 chiamate durante il primo lockdown (circa 50 le persone seguite)
Circa 50 tra accompagnamenti sanitari e ai servizi
Le nazionalità: 132 donne totali, 71 donne rumene (53%), 28 donne albanesi (21%), 23 donne nigeriane (17%); 20 persone trans sudamericane (13 peruviane ); 2 donne sudamericane, 4 donne altro est-europa, 4 donne altre nazionalità;
15% nuovi contatti totali, ciò significa basso turn over: meno donne in generale, ma soprattutto meno arrivi di donne “nuove” (ultimi 10 anni: 8500 contatti totali in strada, 2335 donne conosciute)
37 le donne accolte nel 2020 nelle case protette e centri di accoglienza per le vittime di tratta

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