Unanime la condanna delle violenze che hanno accompagnato l’assalto a Capitol Hill, per tutti il frutto della politica divisiva di Trump

di Maddalena MALTESE
Agenzia Sir, da New York

Assalto a Capitol Hill (foto Ansa Sir)
L'assalto a Capitol Hill (foto Ansa Sir)

Oltraggio, rabbia, inquietudine, smarrimento. Le scene di un Campidoglio preso d’assalto, vandalizzato, “dissacrato” hanno scosso gli Stati Uniti. Vedere sventolare dentro il tempio della democrazia bandiere confederate e manifestanti sempre più agguerriti avanzare di fronte a una polizia incapace di porvi resistenza ha sconvolto prima che il mondo gli stessi americani. Non c’è memoria di folle che abbiano circondato il Campidoglio, preso in ostaggio i rappresentanti del popolo, mettendo in pericolo la sicurezza delle massime cariche dello Stato.

«Questo è l’inevitabile risultato di quattro anni di bugie del presidente Donald Trump. Quattro anni in cui il presidente demonizza i suoi avversari. Quattro anni di inspiegabili abusi di potere. Quattro anni di retorica spericolata e minacce di violenza velate. Quattro anni alimentati dal risentimento razziale, dall’ansia e dalla paura dei bianchi»: l’insurrezione che sul suolo di Washington ha lasciato quattro vittime, tra cui una donna colpita proprio dagli agenti a pistole spianate in difesa della Camera, per il gesuita Bryan Massingale, ha un solo nome, Donald Trump. È lui ad aver alimentato e aizzato il risentimento bianco che ieri ha marciato sul Congresso, ma per Massingale ci sono molti complici che per «cinica pacificazione e per silenzio codardo» hanno taciuto di fronte a «un presidente incompetente per la carica ricoperta e che hanno moltiplicato le bugie di una vittoria rubata per ottenere vantaggi a breve termine, incapaci di affrontare una distruzione senza precedenti delle norme democratiche per paura di un tweet presidenziale».

L’America della fede e delle fedi si trova a dover rispondere anche degli abusi sui simboli religiosi usati al servizio della retorica presidenziale e dei suoi supporter, tra gli scranni del Congresso e fuori, per rifiutare la sovranità del popolo e ostacolare l’elezione di un presidente. «Vedere persone violente e ribelli che invadevano quello spazio civilmente sacro era così inquietante – ha dichiarato il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Los Angeles, Robert Barron in un video -. Questo deve finire. E lo dico da americano, ma, ancora una volta, anche da vescovo cattolico».

Per Johnny Zokovitch, direttore esecutivo di Pax Christi Usa, «gli eventi che si sono svolti oggi al Campidoglio sono il risultato della demagogia di un uomo, il presidente Trump, e del fallimento di tutti coloro – politici, media, famiglia e altri – che hanno scusato, trascurato, consentito o anche incoraggiato l’odio e la retorica divisiva che ha definito il mandato di questo presidente».

«La transizione pacifica del potere è uno dei tratti distintivi di questa grande nazione», ha ribadito l’arcivescovo José H. Gomez, presidente della Conferenza dei vescovi Usa, condannando le violenze e chiedendo un rinnovato impegno «per i valori e i principi della nostra democrazia» e per l’unità della nazione. Gomez implora anche «la saggezza e la grazia di un vero patriottismo e di un vero amore per la patria».

Man mano che nuovi dettagli sull’insurrezione emergono il presidente appare sempre più isolato, restio a inviare la Guardia nazionale (decisione presa da Mike Pence), incapace di condannare le violenze e i violenti, definiti persino «patrioti». Censurato dai principali social media che ne hanno bloccato il profilo, specificando il rischio di incitazione alla violenza si levano intanto deputati e senatori, industriali, quotidiani nazionali che invocano il 25° emendamento, cioè la sua rimozione perché «incapace di adempiere i suoi doveri».

La rimozione di Trump, che potrebbe persino rischiare di farne un eroe, non guarirà la lacerazione profonda andata in onda sugli schermi del mondo e tra i corridoi e le sale del Capitol. Serve un lavoro di tessitura sociale e serve anche l’esempio di chi governa, non da partigiano, ma per tutti. Rientrando in aula per continuare la certificazione dei voti, dopo la vandalizzazione del suo ufficio, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha recitato al plurale il Cantico delle creature di san Francesco: «Dio facci strumenti della tua pace», il primo tassello da cui ripartire dopo un’insurrezione, dopo un momento buio della storia.

 

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