Il sacerdote ucciso a Como aveva condiviso l'esperienza della Fondazione

Don Roberto Malgesini (foto del Settimanale della Diocesi di Como)
Don Roberto Malgesini (foto del Settimanale della Diocesi di Como)

Pubblichiamo un comunicato della Fondazione Casa della carità (15 settembre 2020).

L’uccisione, avvenuta questa mattina a Como, di don Roberto Malgesini ci colpisce e ci addolora profondamente. Conoscevamo, infatti, bene don Roberto, perché nel suo lungo impegno accanto agli ultimi degli ultimi, aveva condiviso anche l’esperienza di Casa della carità, quando la nostra Fondazione era agli inizi, occupandosi principalmente del servizio docce.

«Questa morte ci consegna tanti interrogativi spirituali, ma ci interpella anche come operatori sociali. Davanti a questa tragedia non possiamo, infatti, non pensare a quanto sia necessario continuare a prendersi cura delle persone più fragili, segnate anche dalla sofferenza psichica, che non possono essere abbandonate da sole sulla strada», afferma il presidente della Casa della carità don Virginio Colmegna.

La Casa della carità tutta si stringe intorno a familiari e amici di don Roberto e si unisce al dolore della Diocesi di Como, partecipando idealmente al momento di preghiera guidato dal vescovo della città Oscar Cantoni.

«“Mi ha mandato il vescovo Diego Coletti, mi ha detto vai lì a vedere un po’, a fare esperienza. Ed eccomi qui”. Così si era presentato don Roberto il primo giorno che venne in Casa della carità agli inizi della nostra accoglienza», ricorda Fiorenzo De Molli, responsabile del Settore Ospitalità e Accoglienza.

Valtellinese di origine, e si vedeva: «Un ragazzo gentile, delicato, attento, con una voce lieve quasi non volesse disturbare e con un volto da ragazzino, ma con una presenza “efficace e concreta” come tutti gli uomini di montagna. La sua è stata una presenza garbata, ma decisamente efficace, capace di entrare in punta di piedi nella relazione con gli ospiti e anche con le volontarie. Quasi non si vedeva, eppure la sua presenza la si sentiva. Libero di scegliere dove posizionarsi, si è collocato naturalmente alle docce dove ha servito gli ultimi degli ultimi», dice ancora Fiorenzo.

«Dopo un anno, ci ha detto “sono pronto” ed è tornato in diocesi a “servire il Signore negli ultimi”. Siamo rimasti amici e ogni tanto ci si sentiva, soprattutto quando c’era qualcuno in difficoltà che bazzicava a Como e a Milano. L’ultima volta che ci siamo visti fu in occasione della massiccia presenza dei profughi a Como. L’abbiamo chiamato e subito è venuto a introdurci fra i profughi ammucchiati fuori dalla stazione in attesa di tentare il passaggio in Svizzera. Ne conosceva tantissimi, si capiva che si sentiva a casa», ricorda l’operatore. E conclude: «Se nella fede, sappiamo che adesso vede da vicino il volto del Risorto che ha servito per tutta la sua vita, è difficile dire “Ciao don Roberto e Ad-Dio”».

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