Il Vicario apostolico dell’Anatolia condivide il dolore del Papa e degli altri leader cristiani per il decreto con cui il presidente Erdogan ha ordinato la riconversione in moschea della basilica ortodossa di Santa Sofia, che dal 1934 era un museo

di Daniele Rocchi

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Foto Ansa / Sir

Un «dolore condiviso» con quello del Papa e degli altri leader cristiani, come il patriarca ecumenico Bartolomeo, e di tante altre personalità e istituzioni che in questi giorni «si sono espresse in modo chiaro». Così monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, commenta al Sir le parole di papa Francesco all’Angelus di domenica, rivolte a Istanbul, dove il presidente Recep Tayyip Erdogan, con un decreto, ha ordinato la riconversione in moschea della basilica ortodossa di Santa Sofia, divenuta nel 1934 un museo sotto l’allora presidente Mustafa Kemal Ataturk.

Nel suo viaggio in Turchia, il 30 novembre 2014, sul libro degli ospiti di Santa Sofia il Pontefice aveva scritto: «Contemplando la bellezza e l’armonia di questo luogo sacro la mia anima si eleva all’Onnipotente, fonte e origine di ogni bellezza. Chiedo all’Altissimo di guidare sempre i cuori dell’umanità sulla via della verità, della bontà e della pace». A fare da cornice a quel momento i mosaici di Cristo Pantocratore nella cupola centrale e i grandi angeli con la maestosa Vergine nel catino absidale.

«Circa il 70% della popolazione turca, secondo gli ultimi sondaggi – dichiara monsignor Bizzeti -, ha approvato questa decisione del presidente Erdogan, un dato di cui bisogna tenere conto. Non è stato un colpo di testa del Presidente. Nel suo discorso di venerdì 10 luglio, Erdogan ha ribadito che il luogo sarà aperto a tutti e non si pagherà più il biglietto di ingresso. Sarà da vedere come verrà allestito e se è previsto uno spazio dinanzi ai mosaici dell’antica cattedrale bizantina».

Inoltre, i riferimenti alla fede e alla preghiera fatti da Erdogan nel suo discorso, aggiunge il vicario dell’Anatolia, «mi fanno sperare che possa venire concessa la possibilità di pregare ai profughi cristiani, permettendo anche di aprire cappelle nel territorio turco. Da uomo di fede e di religione qual è, il presidente potrebbe concedere questa possibilità ai cristiani che non abitano a Istanbul dove invece ci sono molte chiese. In altri luoghi non c’è nemmeno una piccola cappella dove radunarsi e pregare. Se la preghiera e la fede sono importanti, allora che si conceda questa opportunità a persone che, all’inizio, si pensava fossero in transito mentre sono in Turchia da anni».

Una di queste piccole chiese è a Tarso, oggi adibita a museo, ma dove, sottolinea monsignor Bizzeti, «è possibile celebrare e incontrarsi. Un luogo ben tenuto dalle autorità, messo in sicurezza e pulito. Abbiamo invece problemi ad aprire nuove strutture. Si è infatti ancora legati alle clausole del Trattato di Losanna (di un secolo fa) che speriamo vengano riviste perché fortemente penalizzanti nei confronti di alcune comunità cristiane. Penso che la Turchia possa essere disponibile a questa revisione. Vediamo se anche le potenze occidentali che firmarono il Trattato possano essere interessate. Credo infatti che negli ultimi anni in Europa, riguardo alla Turchia di Ataturk e di Erdogan, si è andati avanti a slogan. Sotto Ataturk lo Stato era impregnato di laicismo estremo e c’era minore spazio per le minoranze religiose. In gioco c’è anche il riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica. Credo comunque che sia fondamentale, al di là dei fatti giuridici, permettere alle persone di ogni fede e religione di potersi esprimere”.

 

 

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