Non è un obbligo per una Diocesi avere un giornale. E neppure una tv, una radio e una presenza online. Rappresenta di certo una enorme possibilità. I mass media sono una frontiera. Permettono di arrivare dove spesso la parola della Chiesa, e dei suoi pastori, non arriva

di Francesco ZANOTTI

foto Sir / Calvarese
foto Sir / Calvarese

«Ogni voce che si “spegne” indebolisce il principio del pluralismo e impoverisce il patrimonio editoriale e culturale del Paese». Lo ha detto lunedì scorso all’agenzia Sir l’onorevole Andrea Martella, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’editoria. Lo ha riferito commentando l’annunciata chiusura, dal prossimo 1 gennaio, del settimanale della diocesi di Mantova La Cittadella.

La notizia è giunta a pochi giorni di distanza dalla sospensione delle pubblicazioni di un altro periodico diocesano, Vita nuova di Trieste. Una sequenza del tutto casuale che mette in guardia circa la volontà di mantenere in vita strumenti della comunicazione sociale con i quali le Chiese in Italia, da oltre un secolo, intrattengono un dialogo aperto con il mondo, al di là delle confortanti mura di casa.

Il presidente della Fisc, Mauro Ungaro, ha fatto presente che non sono sufficienti «mere valutazioni di carattere economico», mentre ci si dimentica che queste voci, molte dalla tradizione gloriosa e dal forte radicamento nel territorio, «rappresentano un’espressione di carità culturale a servizio di tutta la comunità ecclesiale e un elemento fondamentale per preservare la democrazia».

Chiariamoci, per l’ennesima volta: non è un obbligo per una Diocesi avere un giornale. E neppure una tv, una radio e una presenza online. Rappresenta di certo una enorme possibilità. I mass media sono una frontiera. Permettono di arrivare dove spesso la parola della Chiesa, e dei suoi pastori, non arriva. In più si tratta anche di una presenza sovente diversa e originale, perché cristianamente ispirata, nel non facile mondo della comunicazione.

Tutti quanti abbiamo compreso il valore dei mezzi di informazione durante i mesi di lockdown. Anzi, quasi ci si stupiva se non ne avevamo a disposizione. Si è trattato di una presenza che ha messo al centro, sempre e comunque, la persona in quanto tale, mai alla ricerca dei consensi e dei clic. Un modo di fare giornalismo non sempre rintracciabile altrove, dove spesso si è più animati dalla ricerca del clamore suscitato da un titolo urlato più che dal desiderio di raccontare i fatti per come emergono dalla realtà.

Il magistero dei Papi e i documenti della Chiesa da decenni sostengono e danno risalto ulteriore a quanto fin qui in breve descritto. Nell’agorà di oggi, la comunità cristiana può permettersi di rinunciare a fornire una sua lettura? Può rischiare l’afonia in un contesto in cui è facilissimo essere manipolati o male interpretati? Le risposte parrebbero ovvie.

Stando a quanto sta accadendo in questi giorni, vale la pena ribadirle.

 

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