Fra Ibrahim Alsabagh racconta le sofferenze della sua gente, alle prese anche con il freddo e la fame, e dei cristiani in particolare. Il Superiore del convento di Bab Thouma: «Non dimenticatevi di noi»

padre Ibrahim Alsabagh
Fra Ibrahim Alsabagh

«La guerra in Siria? Non è affatto finita. Ad Aleppo cadono razzi e bombe lanciati dai ribelli su Jamiet al-Zahra e Hamdaniya, i due quartieri più occidentali della città. Si combatte a Idlib, che conosce un altro esodo imponente». Fra Ibrahim Alsabagh, parroco francescano della parrocchia latina di Aleppo, non tace le sofferenze dei siriani e le tribolazioni dei cristiani in particolare.

I mass media sono distratti dall’emergenza sanitaria che sta toccando l’Europa e l’Italia in particolare (e che in verità ha iniziato a lambire anche i Paesi del Medio Oriente). Ma in quell’angolo di mondo, a detta dell’alto commissario dell’Onu per i rifugiati Filippo Grandi, è in atto una tragedia umanitaria di enormi proporzioni. Nel Governatorato di Idlib l’esodo è di almeno 900 mila persone, il più grave dall’inizio del conflitto siriano nel 2011 (che ha fatto oltre mezzo milione di morti e oltre 6 milioni e mezzo di profughi). Una tragedia che si consuma nell’indifferenza della comunità internazionale. L’area contesa è quella che dovrebbe permettere la creazione di una zona cuscinetto sotto il controllo di Ankara e il reinsediamento dei profughi siriani presenti in Turchia. La tensione è massima perché, nelle ultime settimane, sono di fatto saltate alcune delle alleanze contro i ribelli: le forze turche hanno attaccato le stesse forze governative siriane, adducendo sconfinamenti alla frontiera fissata per la zona di de-escalation. Un numero imprecisato di soldati turchi è caduto vittima di raid aerei russi e dell’esercito siriano. A preoccupare è soprattutto la situazione dei civili. Sarebbero state bombardate scuole e ospedali.

Secondo fra Ibrahim, oltre alla guerra sul campo, la Siria oggi è alle prese con altre due durissime lotte: quella contro il freddo e la fame: «Il gasolio per il riscaldamento manca a causa delle sanzioni contro la Siria e contro l’Iran, solo in alcune zone della città si riesce a comprare al prezzo governativo; il resto è tutto alla borsa nera, con prezzi alle stelle. Per le bombole da cucina bisogna fare la fila dalle 5 di mattina, e magari poi terminano. L’elettricità va e viene in modo del tutto irregolare anche nei quartieri più centrali di Aleppo come il nostro: ciò provoca cortocircuiti e incendi. La città continua a essere economicamente soffocata perché continua a non disporre più del suo hinterland: a nord ci sono i territori controllati dai turchi e dai curdi, a ovest c’è la regione dell’Idlib dove i governativi combattono contro i jihadisti. L’autostrada che collegava Aleppo al Sud del Paese continua a essere impraticabile: adesso è sotto il fuoco dell’esercito, che cerca di riconquistarla da anni».

Da Damasco fra Bahjat Elia Karakach, superiore del convento di Bab Thouma, nella città vecchia, parla della Siria attuale come di un grande carcere: «Viviamo dal 2011 in una grande prigione, imposta dalle politiche occidentali, dai Paesi che si arrogano il ruolo di difensori dei diritti civili, ma mettono sotto embargo una nazione intera». Un Paese dove le cure mediche sono un lusso che quasi nessuno si può permettere, l’accesso all’acqua potabile non è scontato e dove diventa difficile reperire perfino il latte per i neonati. Di qui l’appello: «Pregate per la pace in Siria e non dimenticatevi di noi».

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