Il nuovo volume del giornalista Vittore De Carli, pubblicato dalla Lev, racconta la vicenda di 12 preti che hanno dovuto fare i conti con la sofferenza o la disabilità
«Come seme che germoglia. Sacerdoti nella malattia» è il titolo del nuovo libro di Vittore De Carli, pubblicato dalla Lev (Libreria Editrice Vaticana) con la prefazione del cardinale Angelo Comastri, inserito nella collana «I volti», che verrà presentato giovedì 5 dicembre alle 17 a Roma, alla Sala Stampa Vaticana.
I «volti» di questo volume sono quelli di dodici sacerdoti che hanno dovuto fare i conti con la malattia o la disabilità. Ed è la provocatoria “contabilità” evangelica del «centruplo quaggiù» quella che si fa incontro dai loro racconti.
De Carli, giornalista, dal 2011 presidente dell’Unitalsi Lombarda, ne ha raccolto le storie senza farne dei “santini”, bensì restituendo figure e vicende a tutto tondo, con le luci, le gioie, le consolazioni della loro condizione, ma senza mai nascondere le fatiche, i dubbi, le angosce, le crisi. E la provocazione, feconda, che i preti ammalati o disabili rappresentano per la Chiesa e la società d’oggi, assediate dalla «cultura dello scarto».
Come non esistono vite di scarto, così non esistono «preti di scarto», anche quando sono inchiodati a una carrozzina o a un letto d’ospedale. Ecco uno dei messaggi del libro.
Scorriamo i nomi dei dodici sacerdoti: Francesco Cristofaro, Raffaele Alterio, Francesco Rebuli, Andrea Giorgetta, Giorgio Ronzoni, Francesco Scialpi, Mario Monti, Silvio Turazzi, Maurizio Patriciello, Claudio Campa, Mario Galbiati, Salvatore Mellone. Dodici preti italiani, del Nord e del Sud. Alcuni diocesani, altri religiosi. Alcuni anziani, altri giovani. Uno di loro, il giovane pugliese Salvatore Mellone, dal 29 giugno del 2015 celebra con Dio per sempre, dopo le Messe celebrate sul letto di casa o d’ospedale.
Queste storie mostrano come non c’è condizione nella quale non sia possibile essere prete. Anche un letto, anche una sedia a rotelle, possono diventare altare o confessionale, quando si è pronti a vivere ogni situazione come occasione per l’annuncio del Regno.
«Il cuore di Vittore ci fa scoprire storie di vero eroismo sacerdotale. Il sacerdote, soprattutto nella società contemporanea, deve lottare contro l’indifferenza per aprire strade a Gesù nel cuore della gente. E, in questa difficile opera di rievangelizzazione, i sacerdoti ammalati sono un sostegno, una forza, un vero carburante che tiene acceso lo zelo degli apostoli di oggi», scrive il cardinale Comastri nella prefazione.
«I sacerdoti non sono indenni dalla malattia perché la fede non è un talismano che rende immuni dalla sofferenza fisica e psicologica», scrive a sua volta De Carli nell’introduzione. I preti sono «come ognuno di noi». Anche nella malattia e nella disabilità. In essi l’ammalato e il disabile – ma non solo loro – possono scoprire un fratello. E un padre. Volto e voce della misericordia dell’unico Padre. «Il sacerdote nella malattia sperimenta come l’amore di Dio non protegge da ogni sofferenza ma protegge in ogni sofferenza», si legge nell’introduzione.
Il libro mostra come il prete ammalato o disabile è anzitutto una provocazione per la comunità cristiana, chiamata a non emarginarlo bensì a riconoscerlo come dono. Ma la sfida è per lo stesso sacerdote, chiamato a riconfigurare la propria missione, servizio alla Chiesa, appartenenza al presbiterio. Perciò non va lasciato solo. E serve una comunità che lo sappia ascoltare, accogliere, valorizzare. Si potrà così scoprire come il prete ammalato o disabile può essere un riferimento prezioso, un «messaggio» eloquente, in particolare per i preti giovani, e per tutti i giovani d’oggi.
La storia di questi preti «è storia di un seme che – nella malattia, nella disabilità, nella sofferenza e nell’amore – germoglia e porta frutto, per il bene di tutti», scrive De Carli nell’introduzione, prima di lasciare la parola ai dodici sacerdoti. E questo è davvero un libro nato dall’ascolto. E dalla capacità di farsi prossimo a chi soffre. Nello stile dell’Unitalsi. Per questa via è possibile raccogliere «germogli» e «frutti» per il bene di tutti. Come l’incontro con l’insopprimibile dignità di ogni esistenza umana, in ogni condizione. Come la bellezza e la fecondità della fedeltà a Cristo testimoniata nella scelta radicale del sacerdozio, rinnovata nell’esperienza della malattia o della disabilità. Fino a poter dire, con Maria nel Magnificat: «grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente!».
Con i suoi «preti di scarto», la comunità cristiana può vivere l’universale vocazione alla santità e la sfida della missione in una società da rievangelizzare. «E potremo davvero cantare a una sola voce il Magnificat – conclude il libro –. Come popolo in cammino che non lascia indietro nessuno. Nemmeno i suoi pastori e tutti i fratelli costretti in carrozzina o inchiodati ad un letto d’ospedale».