Uno strumento che opera a lungo termine, cercando di assicurare strategie e priorità nell’arco di un settennato. Ma derivando dalle politiche finanziarie degli Stati membri, non dispone di risorse proprie che gli darebbero soprattutto nei momenti di crisi
di Francesca
Balzani
Relatore generale al Bilancio europeo 2012
Il Bilancio europeo è uno degli strumenti più importanti per la creazione e l’attuazione delle politiche europee e il risultato di un grande sforzo comune degli Stati membri e di tutte le istituzioni dell’Unione. È un documento molto articolato che ci mostra, con la chiarezza e la forza dei numeri, quali sono le reali priorità dell’Unione e in quale direzione stiamo andando.
Il suo orizzonte temporale è di lungo periodo. Ogni sette anni, infatti, l’Europa elabora un grande documento strategico che fissa i finanziamenti per un intero settennato, così da assicurare un quadro preciso delle priorità e delle strategie più importanti: questo piano di lungo termine è il quadro finanziario pluriennale. Quello attualmente in vigore è stato adottato nel 2013 e finanzia le priorità e gli investimenti europei per gli anni che vanno dal 2014 al 2020. Ogni anno, pertanto, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo condividono un bilancio che è attuazione concreta, per quell’anno, di una più grande programmazione che addirittura supera, per durata, quella del Parlamento e della Commissione. Questo “maxi bilancio” assicura continuità e stabilità alle politiche europee e, soprattutto, consente a tutti i suoi beneficiari di pianificare per tempo le azioni necessarie per utilizzare nel modo migliore le sue risorse.
La realtà ci mostra quasi sempre i bilanci pubblici come tentativo di risposta ai bisogni del presente o addirittura del passato. L’Unione, al contrario, attraverso la sua programmazione, vuole finanziare il futuro dei cittadini europei realizzando politiche che intervengono su grandi aree strategiche e che mirano a produrre effetti duraturi. La prima area riguarda le azioni a sostegno della “Competitività per la crescita e l’occupazione”. Nel settennato in corso, che finirà nel 2020, l’Europa ha stanziato oltre 142 miliardi di euro per sostenere programmi importanti come Horizon 2020, che mira a rafforzare a livello mondiale le eccellenze europee in campo scientifico, a promuovere l’innovazione delle piccole e medie imprese e a rafforzare la ricerca in ambito sanitario, alimentare, dell’energia, solo per ricordare i campi di azione più rilevanti. Rientrano tra gli strumenti per costruire un’Europa più competitiva anche il nuovo Erasmus, che promuove la mobilità come strumento di crescita, istruzione e formazione dei giovani, Progress (per l’occupazione, la solidarietà sociale, il microcredito) e Connecting Europe facility, il nuovo strumento finanziario per realizzare progetti infrastrutturali nei settori dei trasporti, dell’energia e Ict.
La seconda importante area di intervento riguarda la “Coesione economica, sociale e territoriale”, sostenuta con oltre 366 miliardi di euro e che comprende tutti i Fondi strutturali e il Fondo di Coesione, ossia tutti quei fondi il cui obiettivo principale è quello di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale tra le regioni e gli Stati membri dell’Unione Europea, con particolare attenzione alle regioni meno sviluppate.
Nella grande area della “Crescita sostenibile: risorse naturali” l’Europa investe quasi il 40% del suo bilancio, pari a oltre 420 miliardi e sostiene, prima di tutto, la politica agricola comune che si prefigge lo scopo di creare un settore agricolo europeo moderno, sostenibile ed efficiente, promuovendo redditi agricoli adeguati, tutelando l’ambiente e la sicurezza dei prodotti alimentari anche attraverso aiuti diretti agli agricoltori. Rientra nella Crescita sostenibile anche Life, il programma dedicato all’ambiente al cambiamento climatico.
Compone un tassello importante del budget la rubrica “Sicurezza e cittadinanza”, dentro cui l’Europa finanzia le azioni volte ad affrontare tutti gli aspetti della migrazione, compresi l’asilo, l’integrazione, il soggiorno.
Di fronte a politiche così ambiziose è naturale chiedersi se sia adeguato un Bilancio che rappresenta solo l’1% del prodotto nazionale lordo dell’intera Europa, a fronte di bilanci nazionali che, mediamente, ammontano al 49% del rispettivo prodotto e perché di fronte alle grandi emergenze e alla crisi degli ultimi anni l’Europa non abbia aumentato i suoi investimenti. Queste domande trovano una prima risposta nel sistema di finanziamento del Bilancio europeo. Questo potente strumento, infatti, è alimentato quasi esclusivamente dai contributi dei singoli Paesi membri: ciò significa che, soprattutto in tempi di crisi, il finanziamento delle politiche europee resta “vittima” dello stesso ciclo dei vari Paesi membri. In altri termini, in tempi di scarsità di risorse, il Bilancio europeo non riesce a “compensare” le difficoltà degli Stati membri, essendo una diretta derivazione delle loro politiche finanziarie.
Negli anni sono state fatte molte discussioni – anche all’interno dell’unico organismo democraticamente eletto, ossia il Parlamento europeo – sulla necessità di assicurare all’Europa risorse proprie, consentendole così di essere più autonoma rispetto alle vicende dei singoli membri e, così più forte, soprattutto nei momenti di difficoltà. Molte delle politiche su temi fondamentali come i diritti, lo sviluppo, l’immigrazione, la sicurezza, avrebbero più efficacia e più forza se l’Unione avesse le sue risorse per finanziarle, anziché dover dipendere dai bilanci dei singoli Stati. Il Parlamento che andremo a eleggere il prossimo maggio dovrà definire anche il bilancio per il prossimo settennato e quindi porsi ancora una volta il problema delle risorse adeguate. Un tema sul quale inevitabilmente si trasferirà lo scontro tra chi vuole più Europa e chi invece vuole più forti i singoli Stati, diventando lo scontro tra chi vuole garantire all’Europa gli strumenti per realizzare le sue politiche comuni e chi, invece, vuole ridurne le risorse mettendo a rischio la sua capacità di azione.