Dietro l’assurdo movente un elemento che induce alla riflessione: chi soffre può arrivare a vedere un volto sereno come una minaccia. E allora vincere il male è un lavoro di tutti
di Walter
MAGNONI
«L’ho ucciso perché era troppo felice». Questo sarebbe il movente dell’assurdo omicidio di Torino. Said ha 27 anni e una vita triste, la rabbia che si porta dentro lo conduce a gesti violenti. Così si compra delle lame, sceglie la più tagliente e con quella attacca uno sconosciuto che stava percorrendo la passerella sopra il Po per andare a lavorare. Una giornata come tante altre, in una delle nostre città dove in centinaia di migliaia si muovono alla stessa ora per andare al lavoro: nella normalità di giorni apparentemente sempre uguali, basta un istante per cambiare la vita di alcune persone.
«Ho scelto di massacrare lui perché l’ho visto e mi pareva troppo felice per poter sopportare la sua felicità».
Così Stefano Leo, 33 anni e la voglia sua di vivere, si è ritrovato un cadavere avvolto dal sangue di quel maledetto coltello. Una vita stroncata ingiustamente, senza colpe se non quella di avere una maschera di felicità sul suo viso.
Stefano ascoltava musica mentre andava al lavoro e così non ha sentito i passi del killer che lo stavano raggiungendo. Mi piace pensare che fosse una musica dolce, di quelle che mettono pace nel cuore e ci fanno sentire in armonia con l’universo e spero che il colpo sia stato così improvviso da non dare scampo all’agonia che in tali casi sarebbe solo uno strazio in più.
È una storia che ci fa riflettere: chi sta male può arrivare a vedere un volto sereno come minaccia insopportabile. Quel viso irrita al punto da scatenare una violenza irrefrenabile come accaduto a Torino. La felicità altrui è pericolosa e l’invidia tocca il cuore e muove azioni incontrollate. La Bibbia ci narra di Caino e del suo volto triste e il gesto di Caino verso Abele ha contorni simili a quello di Said nei confronti di Stefano. Anche nel brano della Genesi all’origine vi era la gelosia verso un’altra persona e l’incapacità di ritrovare pace.
Ma non è distruggendo vite apparentemente felici (anche Stefano avrà avuto le sue fatiche) che si risolve il proprio male di vivere. Al posto della lama meglio la parola. Said, perché non hai chiesto aiuto a Stefano? Perché non gli hai detto: «Aiutami a trovare un po’ della tua serenità!».
Vincere il male è un lavoro di tutti, un’arte che chiama in causa ogni persona e ogni comunità. Il male di vivere non va banalizzato, ma insieme qualcosa si può fare, di certo non con la via della violenza distruttrice, ma con la strada silenziosa di una quotidianità dove chi soffre non sia lasciato solo.
È una storia triste, ma istruttiva. Se vedi un uomo felice non essere geloso, ma fattelo amico e scorgi il suo segreto.