Italia promossa. Londra bocciata. Il presidente della Commissione ha indicato, tra Stati e città simboli, i “buoni” e i “cattivi” nel percorso di integrazione

di Gianni BORSA

Unione Europea

Sulla (non troppo) immaginaria carta geografica d’Europa disegnata da Jean-Claude Juncker sono indicati Stati e città rigorosamente divisi – come si farebbe sulla lavagna scolastica – tra “buoni” e “cattivi”. Lo si è visto piuttosto chiaramente il 13 settembre quando, a Strasburgo, nella sede del Parlamento Ue, il presidente della Commissione ha presentato il suo discorso sullo stato dell’Unione, con l’analisi dell’attuale situazione della “casa comune” e i possibili scenari, progetti e azioni per il futuro.

Juncker ha esposto il suo “sogno” di un’Europa che riparte dopo le batoste subite con la crisi economica, il terrorismo, e dinanzi ai continui flussi migratori che approdano sulle coste meridionali del continente. E proprio nelle pagine del discorso sullo stato dell’Unione ecco emergere i “buoni” e i “cattivi”.

Va rilevata anzitutto la simpatia, diciamo pure l’affetto, con il quale Juncker ha parlato dell’Italia, che si prodiga per accogliere i migranti nonostante i giganteschi problemi interni che questo comporta. Tra i “buoni”, Juncker infila anche Romania e Bulgaria: i due Paesi dell’Est faticano a stare al passo dell’Unione sul piano dello sviluppo economico, sociale e dei diritti; eppure meritano – anzi forse proprio per questo meritano – di essere accolti nello spazio Schengen. Così come, messe in cantiere necessarie riforme, un domani la Croazia potrebbe far parte dell’Eurozona.

Nella parte dei “cattivi” appaiono invece: il Regno Unito (Brexit), Polonia e Ungheria (chiudono le porte ai rifugiati e, con essi, al valore della solidarietà) e la Turchia («si scordi di entrare nell’Unione se va avanti così», afferma in sostanza il politico lussemburghese).

A metà strada si collocano i Balcani occidentali: per loro la porta dell’Ue rimane aperta, ma devono attuare profonde riforme e quindi per l’adesione si riparlerà in un prossimo futuro.

Ci sono poi le città. Bruxelles e Strasburgo, sedi delle istituzioni Ue, rappresentano per questo il pur faticoso, ma a suo avviso irrinunciabile, cammino di integrazione comunitaria. Londra, al contrario, assurge, giustamente o meno, a simbolo degli egoismi e delle chiusure nazionali. Promosse anche Goteborg (Svezia), Tallinn (Estonia), Sofia e Vienna: nella sua road map per il futuro dell’Unione Jean-Claude Juncker vi colloca rispettivamente il summit sociale del prossimo novembre e tre summit informali dei 27 leader degli Stati membri per cadenzare l’agenda riformatrice dell’Unione. Infine Sibiu, in Romania: Juncker vi celebrerebbe volentieri, il 30 marzo 2019, un Consiglio europeo straordinario che, chiusa la partita col Brexit, spalanchi le porte alle successive elezioni dell’Europarlamento di giugno e al futuro della nuova Europa.

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