Nel Paese i soccorsi alle vittime del sisma procedono a rilento. Dietro i ritardi la pretesa di Damasco che tutti gli aiuti siano consegnati nella capitale

di Lorenzo Garbarino

Terremoto Turchia soccorsi
Un bambino estratto vivo dalle macerie (Foto ANSA/Sir)

Nei centri più colpiti dal sisma del 6 febbraio si scava senza sosta: nella provincia di Hatay, in Turchia, sono stati salvati un bimbo di sette mesi, un 35enne e una 55enne rimasti sotto le macerie per più di 150 ore. La speranza dei soccorritori è che ci siano ancora molte persone sepolte vive in attesa di aiuto.

La guerra degli aiuti

In questa corsa contro il tempo (sono già 34 mila le vittime) sono i ritardi a finire sotto processo. Le attese meno giustificabili arrivano dalla Siria, dove l’aiuto umanitario è finito al centro di strumentalizzazioni politiche da parte del presidente Bashar al Assad.

Il presidente siriano pretende infatti che tutti gli aiuti convergano prima a Damasco, dietro la promessa che saranno distribuiti anche alle zone controllate dai ribelli. La zona più colpita dal terremoto si trova infatti nel nord-ovest del Paese, controllata dall’opposizione al regime di Assad.

Bambino estratto vivo dalle macerie (Foto ANSA/Sir)

Le testimonianze

Un braccio di ferro di cui fanno le spese gli aiuti umanitari, bloccati nel tragitto. «Le Nazioni Unite hanno dichiarato che un convoglio umanitario partito da Damasco è stato bloccato dai ribelli» denuncia Filippo Agostino, referente per la Siria della Fondazione Avsi, commentando una mancata consegna di aiuti nella città di Idlib.

Martin Griffiths, responsabile per le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, ha ammesso, durante una visita nella zona di confine, che non sono riusciti a fornire aiuto alle persone nella regione siriana controllata dall’opposizione: «Sarà nostro compito porre rimedio a questo problema il più velocemente possibile».

Ahmed Rahmo di Medici Senza Frontiere, da tempo attiva in Siria nord-occidentale, lamenta il pochissimo sostegno internazionale avuto fino a oggi. «Qui i bisogni sono immensi: oltre 2 milioni di persone vivono in campi per sfollati, hanno bisogno di tutto, cibo, acqua, indumenti, coperte. E adesso bisogna fare fronte anche ad una recrudescenza dell’epidemia del colera. Sono stati aperti centri di accoglienza per ospitare un maggior numero di sfollati. Per ora ce ne sono 15 nella regione di Idlib e in cinque di questi abbiamo attivato cliniche mobili per offrire cure mediche. Il trasferimento di forniture mediche dalla Turchia alla Siria era già una sfida, in quanto Bab al-Hawa era l’unico valico per il passaggio dei convogli umanitari verso la Siria nord-occidentale ed era soggetto a tensioni politiche prima del terremoto. Dopo il sisma il valico è rimasto chiuso per tre giorni ed è stato riaperto due giorni fa, con un traffico finora molto ridotto».

Anche l’ong italiana Un Ponte Per denuncia problemi nel nord-est della Siria. Un convoglio di aiuti della Mezzaluna Rossa Curda diretto nei villaggi più colpiti dalle scosse è stato bloccato sabato 11 febbraio dalle forze governative. «Il governo di Damasco – denuncia l’ong – pretende che la Mezzaluna consegni tutti gli aiuti per poter passare il check-point, nonostante gli operatori sanitari abbiano chiarito che intendono portare gli aiuti anche alle zone controllate dal regime. Le forze governative dichiarano che avanzeranno la stessa richiesta a tutte le Ong locali e internazionali che vorranno portare aiuti nel Nord-Ovest. Si tratta di un livello di strumentalizzazione politica degli aiuti assolutamente inaccettabile – dichiara Un Ponte Per – che tra l’altro apre le porte alla corruzione e priva gli umanitari della possibilità di controllare i destinatari degli aiuti, rendendo conto ai donatori».

Tra gli aiuti già arrivati in Siria spiccano quelli italiani. Il primo aiuto europeo al Paese arriva infatti dall’Italia, dove ieri un convoglio di aiuti privati trasportato con mezzi militari italiani è arrivato in Siria attraverso il Libano. Si tratta di quattro ambulanze e tonnellate di materiale medico e sanitario (vedi qui).

Presidi aperti ad Aleppo

Sfollati in un centro in Siria (Foto Caritas Siria)

La città di Aleppo è diventata un presidio per l’accoglienza degli sfollati.

Ad oggi sono 179 i centri di accoglienza aperti in città, e da venerdì sono arrivate anche la Nazioni Unite. «Avsi – descrive Agostino – sta predisponendo aiuti da portare anche nelle zone interne e in quelle costiere dove maggiore è il bisogno. Ma le necessità sono molteplici: servono grandi mezzi meccanici per scavare tra le macerie, poi medicine e materiali sanitari per le operazioni, cibo e assistenza per l’inverno. Servono presidi medici per fronteggiare colera, tetano e polmoniti e per l’igiene necessari a tenere puliti i grandi ambienti come i centri di accoglienza. Una cosa da tenere presente è che in Siria non c’è luce. In alcune zone arriva solo per due ore al giorno».

Questa settimana la municipalità di Aleppo e Unhcr hanno eseguito la mappatura dei palazzi lesionati. L’obiettivo, come spiega sempre Agostino, è che la popolazione possa fare rientro nelle abitazioni. «La cosa da evitare, infatti, è che restino a lungo nei centri di accoglienza. In uno di questi – dice Agostino – è nato anche un bambino, una bella notizia in mezzo a tanta tragedia».

Allarme orfani 

Per uno che nasce ce ne sono tanti che restano orfani. Ufficialmente i numeri sono bassi, 24 ad Aleppo e 14 a Latakia. I dati contano però i bambini ricoverati negli ospedali senza notizie delle famiglie. Secondo le prime stime, nelle prossime settimane potrebbero diventare diverse centinaia gli orfani da prendere in carico, e nella sola città di Aleppo.

Restituire sicurezza ai bambini e documenti a chi li ha persi nel terremoto diventano fondamentali quindi, come dice Agostino. «I documenti sono necessari per ricomporre i nuclei familiari. Ovviamente ci sono le Istituzioni locali a vigilare su questi bambini. Stiamo passando al post emergenza e questo significa cominciare a prendere in esame le singole situazioni specialmente quelle riguardanti i più vulnerabili come donne e bambini».

Impegnate su questo fronte sono anche Unicef e Save the children. «I bambini – afferma Kathryn Achilles di Save the Children Siria – hanno perso dei membri della famiglia, la casa, non hanno cibo e indumenti contro il freddo. Hanno urgente bisogno di riparo».

«Abbiamo già inviato forniture di emergenza per le sale operatorie – dichiara inoltre Carmela Pace, presidente dell’Unicef Italia – e forniture nutrizionali come biscotti ad alto contenuto energetico. Stiamo lavorando per identificare i bambini separati e non accompagnati e riunirli alla famiglia, oltre a fornire ai bambini un primo soccorso psicologico».

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