Nato quando l’Europa era ancora divisa in due blocchi, ha contribuito a formare una generazione di giovani. Gli “Stati generali” del programma di scambi internazionali si sono svolti a Roma
di Alberto CAMPOLEONI
Trent’anni di Erasmus. E a Roma, nei giorni scorsi, si sono svolti gli “Stati generali” del programma di scambi internazionali che in 30 anni ha permesso a oltre 4 milioni di giovani di studiare e formarsi nelle università europee. Nel 2016 sono stati oltre 30 mila gli universitari italiani partiti in Erasmus e il nostro Paese ogni anno ospita circa 20 mila studenti europei. Per gli studenti italiani le destinazioni più scelte sono Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e Portogallo. Mentre le università di Bologna, Roma e Padova, con Firenze e Milano, sono quelle che accolgono più studenti dall’estero.
Naturalmente l’Erasmus costa. Il finanziamento per Erasmus in Europa su 7 anni è di 14 miliardi di euro per tutti i Paesi, spiega Sara Pagliai, coordinatrice dell’agenzia Erasmus Plus Indire, tra gli organizzatori degli “Stati generali”. Una cifra che «sembra elevata ma in realtà rappresenta poco più dell’1% del budget dell’Unione europea». E proprio sul tema risorse, la Ministra dell’istruzione, Valeria Fedeli, ha insistito sulla necessità di fare di più, per dare «un’accelerata al progetto, oggi riservato solo all’1,2% della popolazione giovanile interessata». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli Affari esteri, Sandro Gozi, propone di moltiplicarle «almeno per 10». E ancora Fedeli, spiega: «Le risorse sono state già incrementate, ma faremo ancora di più perché aumentino le possibilità di partecipazione, aprendo anche ai giovanissimi studenti delle scuole e a diversi settori della società, con apprendistati all’estero, ma anche a Paesi non dell’Unione europea». Con attenzione ai giovani appartenenti a famiglie con redditi bassi, per i quali l’Erasmus è stato per molti anni «un miraggio». «Non vogliamo sia più così – ha detto Fedeli -, dobbiamo lavorare per creare realmente una situazione di pari opportunità».
Insomma, vale lo slogan “Più Europa per tutti”. E questo perché – è ancora parola di Ministro – «Erasmus dice no alle barriere e ai muri e sì a costruire insieme un’Europa di civiltà e pace». E Gozi, lui stesso ex studente Erasmus, sottolinea: «L’Erasmus tira giù i muri, prima di tutto quelli nella nostra testa, è la più grande storia di successo dell’Europa, che non fa l’Europa ma gli europei». E in effetti, al di là della dimensione “scolastica”, e cioè delle ricadute degli studi internazionali sui curricoli degli studenti dell’Europa (e anche sulla loro capacità imprenditoriale, dicono le statistiche), il primo impatto forte del programma Erasmus è sicuramente quello sulla mentalità e sulla formazione di una cultura dello scambio e dell’integrazione.
Quando nacque il programma, nel 1987, l’Europa era ancora divisa in due blocchi. C’era il muro di Berlino. Erasmus, in qualche modo, fu il primo esempio di globalizzazione, capace di prospettare un futuro senza steccati e confini. E negli anni ha davvero contribuito a formare una generazione di giovani più dinamici, aperti al futuro, curiosi del mondo, anche pronti a trasferirsi all’estero per cogliere le occasioni di studio e di lavoro.
Se il problema dell’Unione europea, al di là dei Trattati, è sempre stato quello di dare sostanza alla collaborazione di Stati e all’integrazione di culture, di formare, come si usa dire “gli europei”, ebbene Erasmus ha fatto e continua a fare la sua parte. E forse sta qui uno degli antidoti ai sentimenti antieuropeisti che pure cercano di diffondersi nel nostro Continente.