I fatti di Vigevano interrogano le famiglie e la scuola, chiamate insieme alle istituzioni a una maggiore attenzione e condivisione. Quella della prevenzione rimane la strada maestra

di Alberto CAMPOLEONI

adolescenti

Vigevano: i Carabinieri arrestano quattro minorenni per gravissimi atti persecutori a danni di un compagno di scuola. Ci sono accuse di concorso in riduzione in schiavitù, stato di incapacità procurato mediante violenza e anche stupro. I media precisano che i ragazzini arrestati sono italiani, provenienti da famiglie con genitori “normali”, professionisti e commercianti. E il “branco” sarebbe più ampio. La vittima prescelta era un quindicenne, sottoposto a umiliazioni e pestaggi di ogni genere. Era il più debole del gruppo, il bersaglio facile da offendere e prendere in giro, deridere e fotografare. Foto – e filmati – che poi prendevano la via facile del web, attraverso i social network.

La notizia, particolarmente tragica, non è però inusuale. Spesso si viene a conoscenza di fenomeni del genere, catalogati forse impropriamente con i termini di bullismo e cyber bullismo. È un fatto che non di rado gruppi di adolescenti in particolare si rendano protagonisti di vicende da codice penale e capaci di vessazioni difficili da immaginare.

Una domanda che sorge immediata è la seguente: come è possibile che nessuno se ne accorga per tempo? Come può capitare che gli adulti non si avvedano di quel che accade? In famiglia, anzitutto. E a scuola.

La prima risposta che viene in mente è inquietante: quello dei ragazzi è per certi versi un mondo separato, talvolta impermeabile, oscuro agli occhi di genitori ed educatori. Un po’ perché gli stessi ragazzi hanno bisogno – e si ritagliano – spazi di “autonomia” (chiamiamola così, anche se il termine è improprio), quegli stessi spazi che, volti in positivo, sono necessari alla crescita. Un po’ perché gli adulti tendono talvolta a perderli di vista, sono poco attenti o distratti dalle tante cose che gravitano intorno a loro. Ci sono genitori che chiudono gli occhi, insegnanti che non si avvedono di quel che succede (e che spesso sono così delegittimati da non avere alcun “potere”), istituzioni poco attrezzate.

Così arrivano i Carabinieri, e le forze dell’ordine, che svolgono un compito delicato e necessario, ma a fatto compiuto, quando cioè il danno – per vittime e carnefici – è fatto e riparare diventa molto più difficile.

Quella della prevenzione dovrebbe essere la strada maestra. Lo sanno tutti, naturalmente. Ma è una strada complessa, che parte tuttavia da un primo elemento semplice: l’attenzione, la capacità allenata di scorgere i bisogni dei ragazzi, per individuare strade possibili di soddisfazione (e anche eventuali “rimedi” tempestivi).

Attenzione e condivisione. Questo è un altro “segreto”: condividere la tensione educativa, socializzare l’impegno come genitori e come insegnanti, promuovere valori legati allo stare insieme e all’agire cooperativo, di gruppo. A casa e a scuola. Anche per contrastare un messaggio sociale dominante legato piuttosto all’affermazione individuale, spesso prepotente, senza rispetto per gli altri.

Dal dire al fare c’è di mezzo il mare. Ma consola pensare che per una notizia negativa che emerge, sono molte le realtà positive che si sviluppano, silenziosamente. Perché già molto si fa: famiglie, scuole e istituzioni – anche le forze dell’ordine – riescono tante volte a lavorare insieme. Basta dare un’occhiata proprio al “famigerato” web per trovare risorse e iniziative valide e opportune. E allora le vicende tragiche di Vigevano sono un’occasione in più per rinnovare impegno e consapevolezza, a vantaggio di tutta la comunità sociale.

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