Dopo gli ultimi casi di bullismo comparsi sui giornali è tempo di confronto e riflessione. Oltre al parere degli psicologi occorre anche un approfondimento socio-antropologico

di Silvia ROSSETTI

bullismo

Abbiamo letto, con dispiacere e sgomento, la cronaca dei tristi fatti accaduti in una frazione di Vigevano, dove dei ragazzini di età compresa tra i 13 e 16 anni hanno mortificato, brutalizzato e, infine, stuprato un coetaneo con una evidente fragilità emotiva.

Quasi contemporaneamente compariva sui giornali la notizia che registrava l’uccisione barbarica di un fenicottero rosa in uno zoo nei pressi di Praga, ad opera di un gruppetto di bambini fra i 5 e gli 8 anni. «Non ho mai visto una cosa del genere», ha affermato il direttore dello zoo. L’animale è stato abbattuto in una cinica e crudele sassaiola.

Notizie differenti, certo. Eppure con un tratto comune: protagonisti di questi misfatti sono dei ragazzini, sembrano assenti le motivazioni, non appare alcuna traccia di pentimento e il tutto si consuma in una specie di anestesia emotiva. Gli autori di queste “bravate” hanno il piglio e la freddezza dei criminali incalliti e agiscono in una sorta di ebbrezza provocata da un mix fatale di rabbia e di noia esistenziale.

Viene da chiedersi quali ragioni possano aver spinto ragazzi (e bambini!) di buona famiglia, senza alcun disagio apparente a macchiarsi di azioni tanto becere. Per trovare la risposta oltre a interpellare la psicologia dell’età evolutiva, occorre anche un approfondimento socio-antropologico.

Gli psicologi descrivono l’adolescenza come un periodo critico, regolato da pulsioni a volte incontrollabili e sovente anche aggressive. «Sono processi naturali – avvertono – che portano a intraprendere atteggiamenti inusuali, in un certo senso “sperimentali”». A volte tali atteggiamenti, in soggetti che presentano difficoltà relazionali, o frustrazioni familiari, possono sfociare in devianza e in vere e proprie azioni criminose. Ma questa risposta non può essere sufficiente.

La verità è che di fronte al disorientamento adolescenziale vengono meno le strutture sociali di contenimento e di aggregazione. La società non sorregge, non guida gli adolescenti: rimanda loro un’immagine confusa della propria identità e in più veicola messaggi fuorvianti.

Il permissivismo educativo, ma soprattutto l’incoerenza e l’assenza di una guida etica (non moralistica) e sociale, nonché il disinteresse nei confronti dei giovani sono indicate come cause primarie. Manca la presenza continua di adulti autorevoli e positivi di riferimento, in grado di offrire “attenzione” e “ascolto”.

Osservando i giovani possiamo dire che sono il prodotto di questa società, del suo grado di complessità, delle fragilità che vive, di un futuro incerto. La rispecchiano.

I giovani chiedono l’ascolto, una modalità da tempo messa in offline. Il loro bisogno di attenzione si esprime nei confini di selfie ossessivi e talvolta “virali”, che finiscono per immortalare al proprio interno anche scene raccapriccianti come fossero dei set cinematografici.

È tempo di ritrovare il contatto, non quello virtuale e social: è tempo di confronto serio e riflessione.

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