Più di un elettore su tre non ha votato. Il partito di Giorgia Meloni ottiene il 26,4% rispetto all’8,79% della Lega e all’8,11% di Forza Italia. Da Radio Marconi le analisi e i commenti di Marco Tarquinio, Damiano Palano e Chiara Tintori
di Stefano
DE MARTIS
Agensir
Balzo dell’astensionismo, che aumenta di 9 punti rispetto al 2018; affermazione eclatante di Fratelli d’Italia che consente alla coalizione di centro-destra di conquistare la maggioranza dei seggi e quindi di puntare al governo; conferma dell’estrema volatilità dei consensi elettorali tra una tornata e l’altra. Questi gli elementi principali che emergono dal voto del 25 settembre.
Il partito guidato da Giorgia Meloni ottiene il 26,4% rispetto all’8,79% della Lega e all’8,11% di Forza Italia, con Noi Moderati allo 0,91% (dati relativi alla Camera quando mancano poche sezioni da scrutinare). Un esito che riconfigura profondamente gli equilibri della coalizione, tanto che non pochi commentatori osservano che bisognerebbe parlare di destra-centro e non di centro-destra. Il totale della coalizione è pari al 43,81%, ma in virtù dell’effetto maggioritario del sistema elettorale (nei collegi uninominali questa aggregazione fa quasi il pieno) FdI e i suoi alleati ottengono la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera sia al Senato.
Nel centro-sinistra
Nella coalizione di centro-sinistra il Pd ha ricevuto il 19,09%, l’alleanza Verdi-Sinistra il 3,63%, +Europa il 2,83%, Impegno civico (Di Maio) lo 0,60%, per un totale di 26,16%. Il Movimento 5 Stelle ha ottenuto il 15,39% e Azione-Italia viva il 7,78%. Non coalizzati e sotto la soglia di sbarramento Italexit, Unione popolare con De Magistris e Italia sovrana e popolare, rimasti al di sotto del 2%.
Il confronto con le precedenti elezioni politiche mostra in modo vistoso la rapidità e la profondità dei cambiamenti nelle scelte dell’elettorato. Nel 2018 FdI aveva il 4,3% dei suffragi, la Lega il 17,4 (e nelle europee del 2019 era arrivata al 34,3%), Forza Italia il 14%, il M5S il 32,7%. Azione non esisteva. Stabile il Pd che aveva il 18,7.
Ma su tutto c’è l’ombra dell’astensionismo più alto di sempre. È andato alle urne il 63,91% degli aventi diritto. In altre parole più di un elettore su tre non ha votato. Se si calcolassero le percentuali sull’intero corpo elettorale, il partito di gran lunga più votato (FdI) sarebbe intorno al 14% e il secondo (il Pd) al 10%. La coalizione vincente, che pure ha il diritto di governare perché siamo in una democrazia rappresentativa, ha ricevuto i consensi di meno di un quarto dei potenziali elettori. E di questo non si può non tenere conto.
C’è da lavorare molto per ricostruire le condizioni della partecipazione. Come recita l’articolo 3 della Costituzione, «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Resta da capire chi concretamente metterà mano a questa impresa decisiva per il Paese.