Grazie all’iniziativa dei volontari della Comunità di Sant’Egidio, un bambino rom ha partecipato al campo estivo in Val d’Aosta con l'oratorio di San Martino in Lambrate: per lui un’esperienza fatta di nuove amicizie, avventure e abitudini diverse dal solito
di Claudio
URBANO
Una vacanza che è più di una vacanza. Forse perché è stata la prima volta, forse perché, come tanti suoi compagni, anche lui non era abituato alle gite in montagna. Ma Ale (il nome è di fantasia) è tornato davvero entusiasta dal campo estivo a Degioz (Val d’Aosta), con l’oratorio di San Martino in Lambrate. Per lui, 8 anni (il più piccolo della compagnia), questa era la prima occasione di uscire dalla città, che non fosse Milano o la sua natale in Romania. Ora Ale e la sua famiglia, di etnia rom, vivono in un appartamento della periferia di Milano, e la vicinanza della Comunità di Sant’Egidio gli ha aperto anche questa opportunità. Qualche giorno di camminate nei prati, sicuramente tante avventure. Con lui – racconta Antonella Loconsolo, volontaria di Sant’Egidio che segue Ale e la sua famiglia anche durante l’anno – c’erano altri due bambini rom, ma anche molti altri di famiglie non italiane, tanto che gli auguri di buon compleanno alla cuoca sono stati cantati anche in cinese.
«Non ci sono pregiudizi tra i bambini – spiega don Fabio Rigoldi, coadiutore dell’oratorio che ha accompagnato i ragazzi -. Gli educatori sanno naturalmente chi sono i piccoli invitati alla vacanza dai volontari di Sant’Egidio. Ma agli altri bambini per presentarsi basta semplicemente il nome». «Del resto diffidenze e pregiudizi nascono al massimo tra gli adulti, mentre ormai a scuola i bambini sono di così tante provenienze diverse che neanche loro saprebbero più chi prendere in giro», nota Loconsolo.
In montagna, quindi, l’avventura di Ale è stata come quella di tanti che passano per la prima volta una settimana da soli, senza genitori. Prima qualche timidezza, la conoscenza con pochi altri bambini, poi il divertimento con tutti: «È diventato la mascotte del gruppo, e, scesi dal pullman, si sono salutati come amici», racconta ancora Loconsolo. Per Ale c’è stata una scoperta in più. «In quel posto lì, in montagna, si mangia a colazione, pranzo, cena e all’ora della merenda; poi non si mangia più per tutto il giorno«, ha spiegato a tutti al ritorno. «Una differenza rispetto alle abitudini della sua famiglia, un modo per imparare a scandire i tempi della giornata con abitudini che fanno bene anche alla salute», sottolinea Loconsolo.
È proprio questo, in fondo, lo scopo delle settimane in montagna che seguono l’oratorio estivo. Passare qualche giorno all’aria aperta, tra scoperte, panorami mozzafiato, con un’organizzazione dei tempi e delle attività curata fin nei minimi dettagli dal sacerdote e dagli educatori: un’opportunità che a Milano è preziosa anche per molte famiglie italiane. «Anche se i bambini di altra religione o magari non abituati all’ambiente dell’oratorio non hanno un’idea precisa di chi sia il “don”, vedono comunque il sacerdote come un punto di riferimento, una persona autorevole – spiega don Rigoldi -. Non solo però perché io sono chi dà le regole. Molti hanno vissuti non facili, e in un contesto favorevole manifestano anche ciò che hanno dentro». Il “don” raccoglie tutte le loro storie, cosicché l’accoglienza della comunità prosegua anche dopo l’estate.