l maestro Riccardo Chailly ha diretto l’Orchestra del Teatro alla Scala in una splendida esecuzione della magistrale composizione di Giuseppe Verdi. Presenti il Capo dello Stato, l’Arcivescovo, il Sindaco di Milano, altre autorità e tanti cittadini
di Annamaria
BRACCINI
Milano e le sue ferite, ma anche Milano e la sua fierezza per il tanto bene compiuto, Milano e la sua preghiera di suffragio, di omaggio per i morti di Covid 19 e di vicinanza per chi ancora soffre, come i parenti delle tante, troppe vittime. «Questa terra porta qui le sue ferite, i suoi troppi morti, i troppi malati. Le ferite di questa terra sono anche le umiliazioni dell’impotenza, mentre c’era una certa presunzione di onnipotenza; anche gli smarrimenti dei pensieri, degli scienziati, dei maestri, mentre c’era una certa abitudine a ritenere di avere soluzioni per tutto e per tutti. Le ferite di questa terra sono state anche le meschinità delle beghe, le banalità dei discorsi, le contrapposizioni pretestuose, mentre sarebbe necessaria un’alleanza, una coralità per affrontare insieme le sfide e le lacrime di questo tempo».
Dice così l’Arcivescovo in un Duomo che, nella sera ancora illuminata dai colori caldi di piena estate – nella quale, tuttavia, un brivido di gelo viene dalle cifre dei contagi che continuano a salire – si fa davvero la casa di tutti i milanesi. Anzi dell’Italia intera riunita appunto per non dimenticare si sia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – che siede in prima fila – l’Arcivescovo o il sindaco di Milano, Beppe Sala, la presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, il vescovo di Lodi, Maurizio Malvestiti, il già presidente del Consiglio Mario Monti, il ministro per la Cultura, Dario Franceschini, rappresentanti della società civile, del mondo istituzionale, imprenditoriale e militare o semplici cittadini. Insieme, pur con i necessari distanziamenti, per un momento di alto valore simbolico, umano e cristiano, reso palpabile dal doloroso splendore della Messa da Requiem di Verdi, composta per la morte di Alessandro Manzoni ed eseguita a un anno dalla morte dello scrittore e poeta, dall’autore, per la prima volta nella chiesa di San Marco il 22 maggio 1874 e, tre giorni più tardi, alla Scala, per poi essere portata a Parigi.
Una scelta voluta, desiderata e, infine, realizzata al meglio dal direttore del Teatro alla Scala, il maestro Riccardo Chailly e subito condivisa dall’arciprete della Cattedrale, monsignor Gianantonio Borgonovo e dagli organizzatori, la Fondazione Teatro alla Scala con il sovrintendente Dominique Meyer, il Comune di Milano con il Sindaco, nella sua veste anche di presidente della Fondazione, (l’Arcivescovo e il Sindaco hanno firmato insieme l’invito ufficiale rivolto al Capo dello Stato), la Veneranda Fabbrica del Duomo. È il maestro Chailly stesso che dirige l’intero Ensemble dell’Orchestra e del Coro scaligeri – per la prima volta a pieni ranghi dal 23 febbraio scorso – nell’esecuzione trasmessa in diretta, significativamente, nella parrocchia centrale di Codogno, in 3 chiese milanesi e dai media (Rai5 e da RaiRadio3), per coinvolgere tutti coloro che non hanno trovato posto in Cattedrale. Le repliche, in altre due città-simbolo della tragedia da pandemia, il 7 settembre, a Bergamo e il 9 a Brescia.
Dalle ferite, ma anche dalla fierezza, prende avvio, prima che le note e le splendide voci dei solisti e del Coro inondino le navate, il saluto dell’Arcivescovo che dice tutta la gratitudine di Milano rivolta, in particolare, al Capo dello Stato perché «con la sua presenza esprime stasera di essere vicino alla gente e alle terre più tribolate, di avere una parola sapiente, incoraggiante, capace di creare consenso».
«La fierezza di questa terra trova le sue buone ragioni nelle eccellenze che la caratterizzano: la Scala e il Duomo attestano e alludono a tutto quanto di meraviglioso questa terra sa produrre in arte, scienza, efficienza. Questa terra può essere fiera per l’eccellenza della sua gente, per gli eroismi che anche nei momenti drammatici si sono moltiplicati, per le forme di solidarietà che hanno fatto tutto il possibile per non lasciare nessuno da solo, per la dedizione esemplare al proprio dovere, anche molto oltre quello che è dovuto».
Una terra ambrosiana che, così, dice anche il suo profondo sensus fidei, cantando e pregando «perché sa di aver molto ricevuto e sa, insieme, di non bastare a se stessa, di non potersi dare la vita e di non poter sconfiggere la morte. Canta e prega perché i cristiani, che da secoli abitano questa terra, professano la certezza che la morte è stata vinta e che la solitudine non è l’inevitabile destino».
Parole di speranza che fanno eco alle espressioni pronunciate, appena prima, del Primo cittadino. «Eravamo convinti, a torto, che lo schermo della tecnologia e del progresso scientifico ci avessero messo definitivamente al riparo dal pericolo di una pandemia. Ed è proprio per questa illusione che il nostro mondo si è trovato così impreparato di fronte a questo virus, che rappresenta l’ennesimo avvertimento che la natura ci invia per ricordarci l’obbligo morale di scelte più rispettose della vita e dei suoi valori. Lo strazio per le morti cui dedichiamo questo concerto, costituisce un monito per tutti noi. Milano, come sempre, ha già fatto e continuerà a fare la sua parte. Le note del Requiem sono sostenute stasera dalla presenza delle Istituzioni milanesi, caro Presidente, ma anche dalla rappresentanza di tutte le categorie delle lavoratrici e dei lavoratori che, mentre il Paese era rinchiuso in casa per cercare di limitare, con successo, i disastri del Covid, hanno continuato a curare i malati e a mantenere in vita la città e i suoi servizi essenziali».
Chiara, infine, la risposta a chi, pur nella logica di un necessario ripensamento dei modelli di vita, si è spinto «a mettere in dubbio l’appropriatezza della convivenza urbana per il nostro prossimo futuro». «C’è un elemento di cui Milano non si priverà, né oggi né mai: la sua volontà di essere un luogo in cui ogni donna e ogni uomo possano essere aiutati a trovare dignità e opportunità. Non è un caso, caro Presidente, che la Scala lasci stasera la sua meravigliosa sede per eseguire il Requiem nel Duomo di Milano, casa della Chiesa ambrosiana, casa dei milanesi, casa dei valori che fanno di Milano una città pronta a partecipare alla costruzione nella nuova normalità».