Un Convegno Caritas ha affrontato la questione dell'abitare Rom. Un tema che può sembrare marginale, appannaggio solo del terzo settore, ma che invece è strettamente connesso con l'emergenza abitativa che tocca anche il ceto medio
di Claudio
URBANO
Di fronte a un bisogno abitativo che a Milano colpisce sempre più anche il ceto medio, il tema dell’abitare delle famiglie Rom può apparire un’emergenza nell’emergenza, da affidare semplicemente al terzo settore e da affrontare solo come ultimo passaggio di un percorso di integrazione. Negli ultimi anni, però, diverse esperienze di accompagnamento all’autonomia abitativa hanno mostrato la possibilità di superare un modello fin qui troppo legato a una gerarchia delle emergenze e ai limiti strutturali del patrimonio residenziale pubblico. Un convegno organizzato il 18 aprile da Caritas Ambrosiana, in presenza e in streaming, ha provato ad aprire uno squarcio su queste buone pratiche, a partire dal lavoro di Caritas e di alcuni recenti interventi nei quali la stretta collaborazione tra Amministrazione, sindacati e terzo settore ha consentito il superamento di situazioni abitative precarie, come quelle dei campi e delle occupazioni abusive.
L’esperienza dell’equipe di strada
Tutti i relatori hanno espresso una convinzione comune: «Non si può parlare di casa a Milano se non si ha il coraggio di schierarsi veramente dalla parte degli ultimi», ha scandito Anna Cavallari, coordinatrice dell’equipe di strada Apascial che lavora con le famiglie Rom; «non solo per carità, ma perché la nostra dell’abitare si fonderà su come la città saprà accogliere gli esclusi». Sono circa 200 le famiglie Rom che l’equipe Caritas ha accompagnato a partire dal 2014 (i Rom a Milano sono stimati in circa 1500 persone), seguendo l’evoluzione degli insediamenti a Milano e dintorni: dai grandi campi nella fascia sud della città, ad insediamenti più piccoli, alle occupazioni abusive dell’edilizia pubblica. Fino alla recente chiusura del campo di Vaiano Valle, avvenuta senza tensioni, e al ricollocamento di molti dei nuclei di una delle palazzine di Via Bolla, ora in ristrutturazione. «Circa la metà dei casi che seguiamo ha un esito positivo», fa il punto Cavallari, precisando: «Per noi di Caritas la cosa più importante è la dignità delle persone; quindi non facciamo i calcoli sui numeri. Allo stesso tempo, più siamo sostenuti dalle politiche pubbliche più i percorsi di accompagnamento hanno successo».
Ecco dunque due nodi da affrontare in questi anni. Da una parte il superamento dei vincoli burocratici, che in alcuni casi diventano delle vere e proprie barriere, anche per chi avrebbe il diritto di accedere ai servizi pubblici. Poi, naturalmente, c’è il tema della carenza di alloggi pubblici. Tommaso Vitale, ricercatore presso l’Istituto di Studi politici di Parigi, evidenzia il punto decisivo: il passaggio dai progetti, dall’impegno di associazioni e cittadini, alle politiche (pubbliche). È significativo l’esempio della Caritas francese, che (al pari di altri enti) agisce come una “agenzia immobiliare sociale”, favorendo con garanzie e agevolazioni fiscali per i proprietari l’offerta di immobili per le fasce più deboli, e che agisce addirittura come un vero fondo immobiliare, riqualificando immobili a destinazione sociale. Un esempio a cui Milano non è estranea (il modello è quello di Milano Abitare, che promuove gli affitti a canone concordato), ma che finora non ha trovato il giusto riscontro tra la popolazione.
Allargare il campo delle politiche abitative
Anche Angelo Stanghellini, direttore dell’Area Diritti e Inclusione del Comune di Milano, ha ammesso che è prioritario allargare il campo d’azione alle politiche abitative, superando quell’impostazione limitante che porta ad affidare all’area dei servizi sociali tutte le situazioni di emergenza. D’altra parte Stanghellini ha ricordato che, «non si può pensare che l’offerta pubblica possa essere la soluzione per tutti, ed è allora necessario coinvolgere più soggetti e proporre politiche trasversali, con il Comune che vuole proporsi non solo come erogatore di case e servizi ma come facilitatore di reti».
Come detto, non mancano esempi positivi a cui ispirarsi. La chiusura nel settembre scorso del campo di via Vaiano Valle, con quasi tutte le famiglie trasferite nelle “Soluzioni abitative di emergenza”, è stato il primo caso in cui l’Amministrazione si è coordinata preventivamente con il terzo settore, «e dunque non c’è stato neanche in vero e proprio sgombero», sottolinea Stanghellini. Ma anche lo sgombero di via Bolla, che a novembre ha portato ancora una volta sotto i riflettori questi caseggiati che sorgono vicino al Cimitero Maggiore, si è tradotto per molte famiglie in un esito positivo. «Per la prima volta – sottolinea Giacomo Manfredi del SICET (il sindacato inquilini della Cisl) Milano – è stato applicato l’articolo della legge regionale (16/2016) che consente anche alle famiglie occupanti, se in condizioni di necessità, si accedere alle soluzioni abitative di emergenza. Un modello che potrebbe essere replicato anche per il “quadrilatero” di San Siro».
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