L’Arcivescovo ha aperto, presso l’Aula Magna della School of Management dell’Università Bocconi, il Convegno “Etica, responsabilità pubblica, imprenditorialità e management”, a cui hanno preso parte il presidente e il rettore dell’Ateneo, Mario Monti e Gianmario Verona
di Annamaria
Braccini
Se per il 71% degli intervistati, nella ricerca “Etica, responsabilità pubblica, imprenditorialità e management” condotta da Asfor l’Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, l’etica è un tema rilevante; se Larry Fink, amministratore delegato di un colosso mondiale, l’uomo di finanza più potente al mondo – come l’ha definito recentemente il Corriere della Sera -, ha indicato agli amministratori delle imprese che è necessario perseguire non solo il profitto, ma il “purpose” (che si potrebbe tradurre come lo scopo, ma anche il proposito); se, ancora, il 18 agosto scorso 180 CEO, hanno sottoscritto un manifesto, interrogandosi su chi siano i cosiddetti “portatori di interessi”, forse è veramente venuto il momento di ripensare l’economia, la finanza, l’impresa.
Per questo all’interessante Convegno, tenutosi presso l’Aula Magna della School of Management dell’Università “Bocconi” con lo stesso titolo dell’indagine, hanno preso parte in tanti, con un parterre de rois di relatori. A partire dall’Arcivescovo, cui erano accanto il presidente dell’Ateneo, Mario Monti, il rettore Gianmario Verona ed Elio Borgonovi, presidente del Cergas, il Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università, che ha illustrato i risultati della ricerca. .
«La “Bocconi” vuole sensibilizzare su questo tema i propri studenti e le nostre Business school sono già attivate, ma vi è spazio anche per il tema della ricerca, perché facciamo ancora fatica a studiare ed elaborare modelli che permettano agli operatori economici di affrontare tali contesti», spiega Verona introducendo i Lavori.
L’intervento dell’Arcivescovo
E proprio da alcune domande e dai “contesti” prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo.
«Il Vescovo, in questo contesto, può essere una presenza sospetta. Infatti, è legittimo domandarsi per quali ragioni intervenga. Io vorrei proporre più domande che dogmatiche, più provocazioni che indicazioni, speranza più che principi», sottolinea subito.
Ma come porre la domanda «fondamentale in un contesto che è già dato?». Insomma, «come si fa a costruire una società giusta e sostenibile, in una società che, peraltro, c’è già anche se non ha queste caratteristiche?».
Poi, lo scopo: «L’etica è ciò che offre un punto di riferimento per “distinguere il bene e il male” e, quindi, indicare quello che si deve scegliere e quello che si deve evitare. Il fine, infatti, è elemento decisivo per costruire il complesso valoriale che ispira le scelte.
Ma qual è, appunto, lo scopo d’impresa? «Il profitto degli investitori? Lo sviluppo dell’azienda? L’occupazione? Il bene comune di una Nazione, dell’umanità presente e futura? Ciascuna di queste domande fa nascere un diverso sistema valoriale».
Evidente, difatti, che, laddove la finalità è il profitto, si abbia una diversa scala di valori rispetto a coloro che hanno per obiettivo il bene comune.
Da qui, una terza domanda relativa al soggetto agente e alla sua libertà.
«La scelta e l’azione sono sempre di persone, con persone, per persone che si trovano a vivere in situazioni sempre più predefinite, predeterminate e strutturare e, perciò, quale libertà è concretamente possibile esercitare? Quale possibilità di scelta esiste per il complesso del sistema economico? Quale possibilità di scelta per lo Stato? La libertà, però, non può essere un principio astratto, anzi, non si può evitare il sospetto che le scelte non siano frutto di un esercizio della libertà, ma l’esito di una catena di condizionamenti che viene da componenti psicologiche, neurologiche, o della pressione sociale. La visione cristiana della persona umana ritiene che i condizionamenti, per quanto esigenti e stringenti, non sopprimano l’esercizio di qualche forma di libertà».
Nasce, così, spontaneo chiedersi chi veramente prenda le decisioni e con quali criteri: «Chi decide? Il manager, il potere politico? Il potere economico?»
Inevitabile, il richiamo al concetto di responsabilità.
«A chi deve rendere conto l’operatore economico? Agli azionisti? Ai dipendenti? Alle autorità che rappresentano la società civile e sono incaricati di far rispettare le leggi? Alle generazioni future? Alla propria coscienza? A Dio?».
La conclusione dell’Arcivescovo è un frutto di tutti questi dilemmi, visti in ottica di fede.
«La possibilità di fare domande è accessibile a chi è presente, a chi può parlare, a chi può ottenere di essere ascoltato. La gestione dell’economia, delle imprese, della finanza è disposta ad ascoltare anche domande che “vengono da fuori”? E le persone e i popoli, che sono “fuori”, possono fare domande? Possono chiedere conto? I poveri dove possono parlare? Da chi sono ascoltati?»
Eppure, qualche segno positivo c’è. «Fa riflettere il riferimento alle attenzioni rivolte ai lavoratori e alle loro condizioni di vita, al benessere organizzativo alla tutela ambientale, alla correttezza nei rapporti, all’affidabilità che è fondamento della fiducia, alle pubbliche amministrazioni e alle comunità di riferimento che propongono una visione ampia dell’economia e della finanza non ristretta allo scopo del profitto economico».
Ma anche qui il dubbio, che il Vescovo non si nasconde, si insinua. «Si può interpretare questo ampliamento di orizzonte anche come una retorica di facciata o una più avveduta programmazione in vista di un profitto più consolidato e di un consenso più rassicurante, quasi che l’economia debba conquistare benevolenza. Potrebbe non essere un cambiamento di direzione, ma una modalità più astuta per proseguire a perseguire il profitto».
«Il mio auspicio è che ci rendiamo conto che siamo liberi e che la qualità della vita, della società e del pianeta, dipende anche da noi, anzi da noi dipende farci carico di un percorso che metta mano all’impresa di aggiustare il mondo. Siamo autorizzati a pensare».
La riflessione del presidente Monti
Un intervento – quello di monsignor Delpini – che “spiazza” (lo ammette lui stesso apertamente) il presidente Monti per il quale «l’economia non è affatto in contrasto con l’etica, perché il profitto, che non si può eliminare, fa emergere anche qualcosa di utile, risultati buoni per la collettività. Naturalmente, «con alcuni filtri: la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, all’accordo tra imprese e a chi fa abuso di posizioni dominanti per monopolizzare il mercato e stabilirne i prezzi. D’altra parte, l’Ue intende lavorare per un’economia sociale e di mercato sostenibile, altamente competitiva, come si legge nel Trattato di Lisbona»
Il problema dei problemi, tuttavia, rimane: dare voce a chi non l’ha: i poveri i giovani, coloro che non sono ancora nati, soprattutto considerando che «oggi ci sono modi per togliere voce anche a chi prima ce l’aveva». Il riferimento è al presidente degli Stati Uniti dell’“America first”, e a chiunque proponga un bilateralismo, o il nazionalismo del “prima il mio Paese”.
«Quando si passa da un sistema – come l’Unione – che cerca di organizzarsi in modo multilaterale per prendere decisioni coerenti, a chi si organizza da sé per il proprio tornaconto (anche ben dichiarato), si toglie voce agli altri».