Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali traccia un bilancio della 49ª Settimana sociale e propone di creare un Fondo di compensazione per la transizione ecologica
di Maria Michela
NICOLAIS
Agensir da Taranto
«Il mondo cattolico continua a vivere la condizione di subordinazione e di autodelegittimazione rispetto al pensiero cosiddetto laico. Al contrario, la Chiesa italiana su questioni così rilevanti non è succube alle linee di pensiero dettate da altri, e questa Settimana sociale lo ha ampiamente dimostrato». Ne è convinto Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, che traccia per il Sir un bilancio delle giornate di Taranto – alle quali ha partecipato con un intervento molto applaudito – partendo da una sorta di orgoglio ritrovato: quello del «popolo cattolico» che si ritrova in presenza per la prima volta dopo la pandemia e ha voglia di mettersi in gioco dando il suo contributo di «pensiero pensato» a temi come l’ambiente, il lavoro, la sostenibilità del pianeta e quella che è stata definita durante i lavori una «ecologia ecclesiale». Il punto di partenza: la volontà di partecipare al dibattito pubblico con riflessioni di alto profilo e di orientare il futuro tramite azioni concrete di partecipazione dal basso in grado di incidere sulle macropolitiche.
Professore, quale fotografia scatterebbe di questa Settimana sociale?
Questa Settimana ha messo in luce quello che è il principale debito della comunità civile verso il mondo cattolico, riguardo alla transizione ecologica di cui tutti parlano e dicono che si debba affrontare, senza però conoscere fino in fondo tutte le implicazioni che questo passaggio comporta. A parole, tutti la vogliono, ma nei fatti nessuno la applica. Nessuno dice, infatti – e qui a Taranto se ne invece ampiamente parlato – che la transizione ecologica ha dei costi: alcuni ne hanno tratto grandi vantaggi, mentre altri sono stati fortemente danneggiati. Anche in Italia, ci sono aziende che a causa della transizione ecologica andranno a rimetterci, a fronte di altre invece che hanno aumentato e aumenteranno notevolmente i propri profitti. Un esempio per tutti, quello dei vaccini: cinque multinazionali nel mondo hanno totalizzato 1650 miliardi di profitto. Se i vantaggi di coloro che hanno tratto profitto dalla transizione ecologica superano una certa soglia, coloro che ne sopportano il peso si coalizzano tra di loro per bloccare i processi. Basti pensare ai lavoratori del petrolio: se decarbonizziamo, milioni di persone nel mondo si rivolteranno. Il presidente americano Biden aveva deciso di stanziare 3.500 miliardi di dollari per la transizione ecologica: pochi giorni fa è dovuto scendere a 1.700, perché quelli che ci avrebbero rimesso hanno protestato in maniera vibrante.
Si può invertire questa tendenza?
La Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ha proposto di creare, a livello internazionale, un Fondo di compensazione per la transizione ecologica, nel quale quanti hanno guadagnato da tale processo versino una parte dei loro guadagni per compensare le aziende e i Paesi che ci hanno rimesso. E’ una proposta, questa, replicabile anche sul piano nazionale, che però stenta ad essere compresa: la “vulgata corrente, infatti, fa credere che la transizione porti dei benefici indistintamente a tutti.
Sia il Papa, sia il cardinale Bassetti hanno chiesto «un balzo in avanti» alla Chiesa italiana. Come si può uscire dalla crisi provocata dalla pandemia senza lasciare nessuno indietro?
Facendo una distinzione tra fragilità e vulnerabilità, che spesso vengono considerate erroneamente come sinonimi. La fragilità è la condizione di chi, in un particolare momento, non è in grado di provvedere a se stesso, e dunque ha a come riferimento l’emergenza e come durata il breve termine, come speriamo sia il caso della pandemia. La vulnerabilità, invece, riguarda tutti coloro che in questo momento sono a posto, ma che potrebbero cadere nella fragilità tra quattro, cinque, dieci anni, come per esempio i giovani che non trovano lavoro o hanno occupazioni sempre e soltanto precarie. In Italia si continua ad agire sul piano emergenziale, tamponando le fragilità, mentre ci vorrebbero politiche antivulnerabilità, pensate non per il breve, ma per il medio e lungo termine. Non basta, in altre parole, intervenire sull’emergenza, bisogna passare a politiche strutturali.
È questo che chiedono i giovani, grandi protagonisti della Settimana sociale?
I giovani di oggi hanno imparato a protestare in maniera concreta, a tenere sotto pressione la maggioranza, il potere politico, finanziario ed economico. Qui a Taranto ci hanno chiesto di animare operazioni concrete sul territorio e hanno fatto specifiche proposte di ampio respiro per iniziare questo cammino nelle parrocchie e nelle diocesi. È importante non perdere questa opportunità e dargli slancio. Il mondo cattolico finora ha dato corpo ad un pensiero troppo «calcolante», adesso è il tempo di un pensiero «pensante».