Visita alla struttura barnabita nel giorno della festa del compatrono, in occasione dell’intitolazione al Santo della sala lettura della biblioteca e della conclusione della ricognizione canonica delle sue reliquie conservate nel convento di San Barnaba
L’Istituto Zaccaria ha vissuto con grande gioia, lo scorso giovedì, la visita dell’Arcivescovo di Milano Mario Delpini. Accolto dal chiassoso entusiasmo di bambini e ragazzi l’Arcivescovo è stato salutato prima dal Rettore padre Ambrogio Valzasina che ha chiesto la triplice preghiera del presule nel luogo dove San Carlo ha lungamente vissuto: per i barnabiti «perché possa condurre il loro cammino alla luminosa mèta del bene, del vero e del giusto»; per gli alunni, le famiglie e gli educatori «perché la loro vita sia sempre ispirata ai valori cristiani»; affinché tutti i ragazzi possano crescere «non solo persone intelligenti e culturalmente formate, ma, soprattutto, uomini buoni, consapevoli della forza dell’amicizia, dell’amore vero, della fede e di tutti quei buoni valori che, nei secoli, i padri barnabiti si sono sforzati di trasfondere nelle loro scuole e che hanno reso l’Istituto semplice, ma appassionato ambiente educativo».
Sono seguiti i saluti degli alunni della primaria, delle medie e dei licei che, rispettivamente, hanno presentato tre doni molto simbolici: una riproduzione in argento della palla-sveglia di san Carlo, opera dell’orafo lodigiano Maurizio Fusari; una scultura marmorea riproducente una scodella, a richiamare l’umiltà con la quale San Carlo lavava le stoviglie a fine pasto quando soggiornava in convento opera degli artisti Sandro Leonardi ed Elisabetta de Rosales; una copia seicentesca – estratta dalla ricca biblioteca del convento – delle costituzioni della Congregazione barnabitica, promulgate da San Carlo nel 1579 proprio a San Barnaba.
L’Arcivescovo ha quindi lasciato il proprio messaggio alla comunità scolastica attraverso tre espressioni dallo stesso definite «straniere»: kàire, rallegrati «perché la vita di ciascuno è risposta a una vocazione alla gioia, un annuncio che non autorizza a sottovalutarci mai»; Kyrie elèison, Signore abbi misericordia «perché, nonostante i limiti della condizione umana, nessuno è uno sbaglio o un fallimento perché il Signore dimostra sempre la propria misericordia di fronte alla nostra umiltà»; amen, eccomi «perché la nostra vita è vocazione e dobbiamo avere il coraggio di dire sì per viverla con coerenza».
Impartita poi la benedizione a tutti, l’Arcivescovo ha inaugurato la bellissima mostra fotografica dell’ex alunno Alessandro Giugni che «sulle tracce di san Carlo» ha ripercorso attraverso le immagini i luoghi più suggestivi della vita del Santo. L’Arcivescovo ha quindi intitolato la sala letture della biblioteca a san Carlo, inaugurando un busto del Santo e una lapide latina commemorativa, e partendo dalla sua esperienza di insegnante, ha voluto sottolineare che ha maturato la convinzione che sia «impossibile insegnare ogni cosa, spiegare tutto ed esaurire il programma, anche all’interno di una sola disciplina. Non dovrebbe essere quello l’obiettivo primario di un docente. Certo, il sapere deve essere trasmesso e gli studenti devono poter maturare delle conoscenze. Eppure, proprio osservando un luogo come una biblioteca si può ricavare un grande insegnamento. La biblioteca contiene una grande quantità di libri già scritti, che rappresentano quindi un sapere “passato”. In essa non si trovano invece tutti quei testi che ancora non sono stato scritti e che invece conterranno le conoscenze e il sapere necessari per andare verso il futuro. Tuttavia, proprio la biblioteca può diventare il punto di contatto tra passato e futuro. In essa può e deve nascere il desidero di imparare, di scoprire, di conoscere. Buon insegnante allora è colui che punta a stimolare questa passione negli studenti che avranno così gli strumenti e la curiosità necessari per uno studio vero, dal quale magari nasceranno proprio quei libri che ancora non ci sono».
Ultimo atto della visita è stata la conclusione della ricognizione canonica delle reliquie di san Carlo conservate devotamente nella cripta della chiesa dei Santi Paolo e Barnaba. Qui l’Arcivescovo ha ricordato l’importanza delle reliquie «di cui non possiamo fare a meno e che in ogni epoca della storia della Chiesa sono sempre state prese in considerazione, pur con modalità differenti». Ha precisato che «nel cristianesimo le reliquie non possono né devono essere ridotte a “talismani” con un qualche valore “magico”, ma, piuttosto, devono esaltare il segno della concretezza in cui la fede si è manifestata, nella integralità della persona umana anche nella sua dimensione corporea».
L’Arcivescovo ha poi apposto il sigillo della Curia all’originale palla-sveglia plumbea che San Carlo teneva tra le mani per non assopirsi durante la preghiera e, infine, accompagnato dal segretario generale dello Zaccaria Emanuele Colombo, ha venerato le reliquie nella loro nuova collocazione, compiacendosi per il lavoro eseguito. Emulando San Carlo l’arcivescovo ha concluso la propria visita consumando il pranzo nel convento con i padri Barnabiti.